mercoledì 22 agosto 2018

DIARIO DI VIAGGIO USA - GIORNO 1


Ebbene, siamo tornati negli States.
Il viaggio si è scostato di poco con i luoghi che abbiamo visitato due anni fa: siamo andati dai parenti e abbiamo fatto alcune zone che non siamo riusciti a vedere la volta scorsa tipo Philadelphia, Cape Cod, alcune zone di New York, la costa del New Jersey, varie ed eventuali.

Partiamo in un’assolata mattinata toscana dove, con volo tranquillo, atterriamo a Londra due ore dopo. Qui ci aspettano cinque ore e mezzo di sosta in aeroporto che sembrano poche ma vi assicuro che sono un’eternità prima di prendere il volo per New York. A un certo punto mi sono sentita talmente Tom Hanks in ‘The terminal’ che mi sono fatta un indiano per amico e ho costruito un bagno di mattonelle azzurre in un anfratto di Heathrow. Per fortuna a casa avevo trovato delle vecchie sterline che ci hanno permesso di girovagare per negozi comprando minchiate e cibo che, grazie al mio inglese perfetto, mi è stato servito da un barista con un’espressione che diceva ‘Ma è turca?’
Un tipico esempio di conversazione made in Simo è:
“Ci vuole del latte nel caffè?” (in inglese)
“Ma per carità!”
“Prego?”
“No”
“Perché?” (in inglese con sorriso)
“PERCHÉ UMMIPIACE” (in toscano con cadenza pisana e momenti ci aggiungo anche un boia dè.)
Abbiamo mangiato roba da colazione alle due del pomeriggio, poi ceneremo all’ora di coricarsi, per poi pranzare all’ora di cena, ma si sa, col fuso orario è così: non ci si capisce ‘n cazzo.
Arriviamo all’imbarco e il Santo viene interrogato da un’addetta con domande talmente ficcanti che temo gli abbia chiesto anche il codice iban. Lui risponde come se avesse studiato e a un certo punto dichiara che io sono sua moglie. La donna mi squadra con un’espressione che diceva ‘Ma poraccio come sei messo male’ e facendo una smorfia di disapprovazione mi applica sul passaporto un bollino rosso. Il Santo e Alice ‘sto bollino lo hanno blu. Evito di fare scenate solo perché non parlo perfettamente inglese, ma il fatto che mi abbia bollato con la lettera scarlatta R di Rincoglionita, non mi va giù. Arriviamo al gate e questa volta è un ragazzo a spulciare i passaporti e visto il mio bollino Chichita mi dirotta a un controllo supplementare. Si vede che ho la faccia da serial killer. A dirmi di spogliarmi e aprire il trolley trovo un signore di colore che somiglia a quello che faceva i Jefferson. Lui parla, io non capisco un cazzo e allora troviamo un compromesso: dialoghiamo a gesti come i primati. Da lontano sembra un numero di mimi. Mi fa togliere le scarpe, incarica una collega di tastarmi tutta e indicandomi gli oggetti me li fa aprire: cover cellulare, cover tablet, busta dei trucchi e in capo a un minuto sul tavolo pareva di essere a una bancarella al mercato. Non solo: presa dall’ansia da prestazione faccio esplodere un beauty e mutande, tamponi e assorbenti ‘volano’ anche senza ali, letteralmente sul banco. Un cotton fioc gli atterra ai piedi.
Con la coda dell’occhio vedo il Santo che mi guarda con orrore da un angolo e mi mima qualcosa come:
‘La Gigia’ e mi pare strano perché sì, è roba intima, ma non me l’ha mai chiamata così.
‘È grigia’ ma il mio trolley è nero.
‘La zia Luigia’ e temo abbia appena avuto l’apparizione della zia defunta nell’82.
Poi capisco. Mi sta dicendo LA VALIGIA.
Solo allora mi rendo conto che quella che l’omino sta controllando è quella di mio fratello che fa il giro di amici e parenti. L’ultima volta l’ha prestata a un amico che andava ad Amsterdam e ho un flash.
Mi vedo già dietro le sbarre a piangere un ‘Viggiuro, non è mia, e anche se avessi scoperto quel pacchettino per me era origano!” Sudo freddo aspettandomi i cani antidroga e penso ‘La signora al piano di sotto ha capito che sono amica, e a questo punto complice, di narcotrafficanti!’
Mentre vedo sfumare il mio viaggio negli USA, l’omino mi dice ‘Tutto ok, si può rivestire’ mimando tutto con le mani tipo Gioca Jouer. Io dalla contentezza mi metto le scarpe invertite e dopo due passi a momenti mi pianto nelle poltroncine.
Finalmente prendiamo posto in aereo; il Santo entra in modalità coma profondo (dal quale si risveglierà solo per cibarsi) Alice si spara qualche film mentre io impiego otto ore di volo solo per capire come mettere il cellulare in modalità aereo e perché, se il mio orologio segna le undici di sera, fuori ci sia il sole.
Comunque sia ci godiamo un bel tramonto sul Canada, una cenetta con pollo in salsa barbecue e i sorrisi di uno steward che mi ricordava Jerry Lewis.
Arrivati al JFK ci ritoccano i controlli, chi siete, dove andate, un fiorino. Come due persone per bene (e come ogni italiano che va a trovare i parenti all’estero) dichiariamo di trasportare parmigiano e funghi secchi e grazie a questo ci fanno fare una fila interminabile a parte, manco trasportassi cocaina dalla Colombia.
Stai a vede’ che ci arrestano per il parmigiano. Arrivati al controllo, un’agente donna ci percula perché lo abbiamo pure dichiarato con una frase tipo ‘E voi avete fatto la fila perché trasportate parmigiano? Ah ah ah ah!!! Che pivelli! Qui c’è gente che ingerisce ovuli e voi per un po’ di cacio quanto la fate grossa.’
Io, come una tronfia italiota seguace di Cracco esclamo fiera ‘Trasporto anche funghi secchi profumatissimi!’ Al che il Santo mi zittisce con ‘Chetati, che qua sono a fine turno. Guarda un po’ se ti fanno fare un risottino seduta stante!’
Passiamo pure questa e ritiriamo le valige che profumano di caciotta e di bosco, e andiamo a ritirare la macchina in un’azienda che si chiama AVIS. Infatti ti dissanguano. Coincidenze? Io non credo.
Qui sentiamo la botta del viaggio e del fuso. In quei venti minuti in cui il Santo disquisisce sulle auto, io e Alice crolliamo sulle poltroncine come due barbone, con rivolo di bava annesso.
Alla fine prendiamo la nostra auto e arriviamo all’una di notte dai nostri cugini in New Jersey che ci accolgono con calore e con i quali abbiamo avuto una conversazione sana e lucida tipo:
D:‘Avete fatto buon viaggio?’
R:‘La capitale d’Italia è Roma’
D:‘Tutto bene?’
R: ‘Harrison Ford’
D: ‘Mi sa che siete stanchi’
R: ‘Le sette e un quarto.’
A quel punto ci hanno guidato ai letti, hanno spento la luce, e hanno pregato di trovarci almeno vivi il giorno dopo.







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Nel frattempo, visto il periodo, vuoi una tazza di thè?

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