LA
FESTA
Un paio di scarpe logore; dalla mia postazione
è questa la prima cosa che vedo. Poi arriva tutto il resto: dei pantaloni
scuri, una camicia a quadri rossi e blu. Infine delle dita che stringono una
borsa della spesa. Mi alzo in piedi e sorrido a labbra serrate in un muto
buongiorno. L’uomo, però, non bada a me e si china ad accarezzare la foto. Gesti
lenti e circolari, quasi la volesse lucidare.
Sul
marmo usurato dal tempo, delle lettere bronzate compongono un cognome moderno e
un nome antico. Mi soffermo sull’anno di nascita: è il mio. Poi scorro su
quello di morte e vengo scossa da un brivido; aveva appena vent’anni. Oggi ne
avrebbe compiuti quaranta. Distolgo gli occhi sentendomi un avvoltoio, mentre
un disagio strisciante si insinua in me come il vento tra le fronde di questi
cipressi.
Prendo
l’acqua e finisco di rabboccare il vaso mentre l’uomo estrae dalla borsa un
pacchetto. Un adesivo dorato luccica al sole come una medaglia.
Non so se il suo sia un rituale. Non vengo mai
qui, sto solo adempiendo a un ordine impartito da mia madre. Prendo tempo
ridisponendo i fiori come se fossi un fioraio davanti a un cliente esigente; in
realtà vanno bene così come sono. O almeno credo. Però quando vedo la torta,
non posso fare a meno di bloccarmi. Una gerbera mi cade ai piedi e non mi
preoccupo di raccoglierla.
«Ne
vuole una fetta?» mi domanda.
La
situazione è talmente surreale che faccio fatica a rimanere seria.
«Non
vorrei fare la sfacciata e approfittare» dico, cercando di stemperare
l’imbarazzo.
«A
Maddalena fa piacere.»
Parla
di lei al presente, come se fosse qui con noi.
«In
questo caso allora sì, volentieri.»
«Prima
però la candelina.» Rovista nella borsa e ne estrae una che accende con un
fiammifero. La piazza al centro della torta e sorride alla foto incorniciata.
Il volto raggiante della ragazza sembra apprezzare questo gesto. Sprizza allegria;
una ciocca di capelli le oscura parzialmente il volto, ma non la felicità di
quell’istante. Sullo sfondo si intravede l’azzurro del mare. L’immagine è
talmente nitida che quasi riesco a percepire l’odore di salmastro. È il
ritratto di un momento spensierato, in cui pensi che niente e nessuno
potrà spegnere il tuo sorriso.
Come
nessuno, oggi, spegnerà questa candelina.
«Quarant’anni
sono un bel traguardo» fa lui, sedendosi sulla lapide e proteggendo la
fiammella con le mani.
«Già»
replico, facendo un passo avanti.
La
candelina cola cera sulla torta, ma non se ne cura. Sappiamo che appena toglierà
le mani, la fiamma si spegnerà.
«Soffia
forte, Maddalena» le dice, rivolgendo lo sguardo alla foto.
Trattengo
il respiro mentre le sue dita sfilano in alto. La fiammella tremula e infine si
spegne, vittima di questa brezza primaverile. L’uomo fa un piccolo applauso al
quale mi unisco con un sorriso tirato. Lui tira a sé il vassoio e affonda la
lama di un coltello nella torta. Della crema al cacao straborda fuori.
«Spero
che il cioccolato le piaccia» mi dice allungandomi un piattino corredato da una
forchetta da dolce. L’aspetto è molto invitante, ma ho lo stomaco chiuso.
«Certo.»
«Me
la faccio confezionare ogni anno. La signora Fiorenza, quella della
pasticceria, mi aggiunge sempre delle meringhe. A lei piacciono le meringhe?»
«Sì»
rispondo, ma in realtà non lo so. Al momento non so più niente.
«Non
avevo dubbi, sembrano delle nuvole di zucchero. E lo zucchero piace a tutti.»
L’uomo
gusta la sua porzione lentamente e mi trovo costretta a imitarlo per non
offenderlo. Si sposta impercettibilmente; un chiaro invito che decido di
assecondare. Mi siedo mentre mi dice allegro: «Benvenuta alla festa!»
Alzo
il piattino. Un brindisi anomalo in un luogo che di festoso non ha niente. Un
gesto profano che stride con tutto ciò che abbiamo intorno.
«Non
sta mangiando» mi fa notare dopo un po’, con un velato disappunto.
«Non
ci siamo nemmeno presentati» ribatto, come se fosse solo questa la causa della
mia inappetenza.
«Non
si è mai imbucata alle feste?»
Rido
mio malgrado. «La verità? No.»
Anche
sulle sue labbra spunta l’ombra di un sorriso. «C’è sempre una prima volta.»
«Come
fa?» gli chiedo, non senza fatica.
«Come
faccio, cosa?»
Ammicco
ai piattini, alla torta saccheggiata, alla candelina che ora giace sbilenca
nella crema. «A... festeggiare.»
L’uomo
mi guarda quasi con compassione. «Una data è tutto ciò che mi resta. Mi è stato
portato via tutto: il cuore, la speranza, una figlia. Mi sono rimasti solo
numeri, quelli impressi su questa tomba. E i ricordi. Quelli sì, sono vividi
nonostante la mia età. Lei invece come fa?»
«Come
faccio, cosa?» rimpallo a disagio.
«A
fare finta che le interessi chi è sepolto lì sotto. Bei fiori, certo, ma il suo
cuore e i suoi pensieri erano altrove.»
«Ho
fatto felice mia madre» ammetto con spiazzante sincerità. «Mi scusi, probabilmente
sono un’ipocrita.»
D’un
tratto tutta la verità mi piomba addosso come una valanga di sassi. È così che
mi sento: schiacciata dai doveri, dalla società, dalla finzione. Un senso di
colpa violento mi fa vacillare e lui sembra accorgersene.
«Si
sieda, la festa non è ancora finita. Ci faccia compagnia.»
Guardo
lo sconosciuto accanto a me; ha gli stessi occhi della figlia che ora sembrano
fissarmi attraverso un vetro ovale.
«Volentieri
e… ho portato un regalo» prorompo, mentre il nodo finalmente si scioglie nello
stomaco. Raccolgo la gerbera che mi era caduta e la indirizzo con naturalezza
verso la foto. «Spero ti piaccia.»
L’uomo
sorride a entrambe. «Visto, Maddalena? Il tuo fiore preferito.» Poi mi allunga
di nuovo un piattino. «Un’altra fetta di torta?»
Nessun commento:
Posta un commento
Nel frattempo, visto il periodo, vuoi una tazza di thè?