domenica 13 settembre 2020

Il coraggio di tagliare

 Durante la stesura di un romanzo sono stata inchiodata all'inizio di un capitolo. Volevo fortemente scrivere un passaggio, QUEL passaggio. Secondo me era incisivo, forte, bello. Lo volevo mettere lì a tutti costi perché me lo ero recitato nella mente un giorno intero e ce lo volevo ficcare, era perfetto. Però poi la stesura non decollava, non legava in nessun modo con il resto, facevo una fatica bestiale per dare un senso a quello che veniva dopo. Stonava come un intro rock nel coro della chiesa: magari bello sì, ma completamente fuori luogo, e fuori contesto. Mi ci sono incaponita per tre giorni finché mi son detta "Sai che c'è? Ma vaffanculo. Io taglio. E ribalto tutto."
Il capitolo, a quel punto, l'ho finito. Da lì tutto ha cominciato a scorrere dall'inizio alla fine in modo semplice, diretto e lineare. Tutto torna.
E allora mi son venute in mente quelle storie d'amore dove ci si incaponisce, si vuole LUI per forza, perché nel nostro immaginario è perfetto anche se è evidente che non lega, non funziona, non ci dà la gioia sperata, ma ci rende la vita un inferno e ci complica l'esistenza.
Ecco, quando vi imbattete in questi inizi di capitoli, tagliate. Senza indugio. Voltate pagina e ricominciate da capo, a costo di ribaltare la storia. La 'vostra' storia;
perché quello che vi sembrava perfetto, in realtà 'rileggendolo', faceva schifo.

(ph: unsplash)



venerdì 11 settembre 2020

Canta ancora

 Stamattina al mercato c'era un bimbino dentro un passeggino che cantava a squarciagola l'ultima canzone della Amoroso. Seguiva battendo le mani la musica che fuoriusciva dalla radio di un ambulante e in pochi secondi ha catalizzato involontariamente l'attenzione su di sé. Era così convinto, così bellino e così a tempo che sembrava tutto studiato. Ci siamo fermati un po' tutti sorridendo davanti a questo piccoletto canterino fino a che qualcuno benevolmente gli ha detto "Bravo!" e da lì sono seguiti altri complimenti.
Lui si è zittito di colpo. Si è spezzato l'incantesimo. Nemmeno si era accorto di essere stato guardato e soprattutto ascoltato. Lo aveva fatto e basta, con quella spensieratezza e spontaneità tipica dei bambini.
A nulla sono valse le parole della mamma: "Dai, canta ancora... com'è che fa?" Ma niente. Lui ci guardava tutti e sembrava dire: ma che volete da me? E più che gli dicevano 'Eri bravo! Dai canta ancora!' e più lui si girava dall'altra parte, vergognandosi.
Io ti capisco, piccoletto. Io sono come te: le cose mi devono nascere spontanee, dal cuore, dall'impeto, dal momento. A fare le cose a richiesta, a comando, non sono mai stata brava.
Ma un giorno forse crescerò.

martedì 8 settembre 2020

Mi chiamo Mey

 Mi chiamo Mey e vengo dalla Birmania. Non mi ritrovo a dichiararlo spesso, anche se i miei tratti tradiscono la mia provenienza. Ma un giorno è accaduto. Ero al mercato, mi stavo servendo al solito banco. La commessa mi serve con gentilezza, ma mi fissa con insistenza il cappello che indosso questa mattina.
"Le guardavo il cappello" mi confessa infatti dopo avermi fatto il resto.
"Le piace?"
"Moltissimo"
Decido di sorprenderla. "Guardi..." lo tolgo dalla testa e con pochi e semplici gesti lo chiudo a fisarmonica.
La donna spalanca gli occhi.
"Ma è magnifico!"
"Sì, è anche comodo. Può essere messo comodamente in borsa."
"Infatti!" Ribatte ancora più entusiasta."Poi io ho la fissa dei cappelli e questo è particolare. Immagino sia tipico del suo paese. Vietnam?"
"No, Birmania."
La donna mi guarda con ammirazione e continua curiosa: "Da quanto è in Italia?"
"9 anni"
"Lavoro?"
"Amore. Ho sposato un italiano."
"Uh!" Squittisce lei alzando le sopracciglia."Come lo ha conosciuto?"
"Lui era lì in vacanza... io ero la sua guida turistica..." la frase mi esce maliziosa e ridiamo insieme mentre lei esclama:
"Ma che meraviglia!"
Rispiego il cappello e me lo calco di nuovo in testa mentre le racconto un po' della mia storia.
"Torna mai a casa? In Birmania, intendo" mi chiede ancora questa commessa curiosa.
"Sì, certo. Se tutto va bene, virus permettendo, a dicembre tornerò a trovare la mia famiglia."
"Bene..." fa una pausa poi riprende "Senta... vorrei farle una richiesta..."
Ma io ho già capito. "Glielo porto."
Le si illuminano gli occhi. "Davvero?Ci terrei tanto. Le do subito i soldi se vuole..."
Alzo le mani "Non scherzi, lo faccio volentieri. Passo spesso di qui e la tengo aggiornata"
"Non sa come mi fa felice. Per lei magari è poca cosa, ma io non vedo l'ora di sfoggiare il cappello del suo paese."
"Allora d'accordo!" Le rispondo facendomi contagiare dal suo entusiasmo.
La saluto con un gesto della mano ritrovandomi a sorridere per questa cosa buffa: raccontare la mia storia grazie a un banale copricapo e una commessa curiosa.
E niente, non potete capire con quanta gioia io aspetti il cappello di Mey.


(ph: unsplash)

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