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mercoledì 22 agosto 2018

DIARIO DI VIAGGIO USA - GIORNO 1


Ebbene, siamo tornati negli States.
Il viaggio si è scostato di poco con i luoghi che abbiamo visitato due anni fa: siamo andati dai parenti e abbiamo fatto alcune zone che non siamo riusciti a vedere la volta scorsa tipo Philadelphia, Cape Cod, alcune zone di New York, la costa del New Jersey, varie ed eventuali.

Partiamo in un’assolata mattinata toscana dove, con volo tranquillo, atterriamo a Londra due ore dopo. Qui ci aspettano cinque ore e mezzo di sosta in aeroporto che sembrano poche ma vi assicuro che sono un’eternità prima di prendere il volo per New York. A un certo punto mi sono sentita talmente Tom Hanks in ‘The terminal’ che mi sono fatta un indiano per amico e ho costruito un bagno di mattonelle azzurre in un anfratto di Heathrow. Per fortuna a casa avevo trovato delle vecchie sterline che ci hanno permesso di girovagare per negozi comprando minchiate e cibo che, grazie al mio inglese perfetto, mi è stato servito da un barista con un’espressione che diceva ‘Ma è turca?’
Un tipico esempio di conversazione made in Simo è:
“Ci vuole del latte nel caffè?” (in inglese)
“Ma per carità!”
“Prego?”
“No”
“Perché?” (in inglese con sorriso)
“PERCHÉ UMMIPIACE” (in toscano con cadenza pisana e momenti ci aggiungo anche un boia dè.)
Abbiamo mangiato roba da colazione alle due del pomeriggio, poi ceneremo all’ora di coricarsi, per poi pranzare all’ora di cena, ma si sa, col fuso orario è così: non ci si capisce ‘n cazzo.
Arriviamo all’imbarco e il Santo viene interrogato da un’addetta con domande talmente ficcanti che temo gli abbia chiesto anche il codice iban. Lui risponde come se avesse studiato e a un certo punto dichiara che io sono sua moglie. La donna mi squadra con un’espressione che diceva ‘Ma poraccio come sei messo male’ e facendo una smorfia di disapprovazione mi applica sul passaporto un bollino rosso. Il Santo e Alice ‘sto bollino lo hanno blu. Evito di fare scenate solo perché non parlo perfettamente inglese, ma il fatto che mi abbia bollato con la lettera scarlatta R di Rincoglionita, non mi va giù. Arriviamo al gate e questa volta è un ragazzo a spulciare i passaporti e visto il mio bollino Chichita mi dirotta a un controllo supplementare. Si vede che ho la faccia da serial killer. A dirmi di spogliarmi e aprire il trolley trovo un signore di colore che somiglia a quello che faceva i Jefferson. Lui parla, io non capisco un cazzo e allora troviamo un compromesso: dialoghiamo a gesti come i primati. Da lontano sembra un numero di mimi. Mi fa togliere le scarpe, incarica una collega di tastarmi tutta e indicandomi gli oggetti me li fa aprire: cover cellulare, cover tablet, busta dei trucchi e in capo a un minuto sul tavolo pareva di essere a una bancarella al mercato. Non solo: presa dall’ansia da prestazione faccio esplodere un beauty e mutande, tamponi e assorbenti ‘volano’ anche senza ali, letteralmente sul banco. Un cotton fioc gli atterra ai piedi.
Con la coda dell’occhio vedo il Santo che mi guarda con orrore da un angolo e mi mima qualcosa come:
‘La Gigia’ e mi pare strano perché sì, è roba intima, ma non me l’ha mai chiamata così.
‘È grigia’ ma il mio trolley è nero.
‘La zia Luigia’ e temo abbia appena avuto l’apparizione della zia defunta nell’82.
Poi capisco. Mi sta dicendo LA VALIGIA.
Solo allora mi rendo conto che quella che l’omino sta controllando è quella di mio fratello che fa il giro di amici e parenti. L’ultima volta l’ha prestata a un amico che andava ad Amsterdam e ho un flash.
Mi vedo già dietro le sbarre a piangere un ‘Viggiuro, non è mia, e anche se avessi scoperto quel pacchettino per me era origano!” Sudo freddo aspettandomi i cani antidroga e penso ‘La signora al piano di sotto ha capito che sono amica, e a questo punto complice, di narcotrafficanti!’
Mentre vedo sfumare il mio viaggio negli USA, l’omino mi dice ‘Tutto ok, si può rivestire’ mimando tutto con le mani tipo Gioca Jouer. Io dalla contentezza mi metto le scarpe invertite e dopo due passi a momenti mi pianto nelle poltroncine.
Finalmente prendiamo posto in aereo; il Santo entra in modalità coma profondo (dal quale si risveglierà solo per cibarsi) Alice si spara qualche film mentre io impiego otto ore di volo solo per capire come mettere il cellulare in modalità aereo e perché, se il mio orologio segna le undici di sera, fuori ci sia il sole.
Comunque sia ci godiamo un bel tramonto sul Canada, una cenetta con pollo in salsa barbecue e i sorrisi di uno steward che mi ricordava Jerry Lewis.
Arrivati al JFK ci ritoccano i controlli, chi siete, dove andate, un fiorino. Come due persone per bene (e come ogni italiano che va a trovare i parenti all’estero) dichiariamo di trasportare parmigiano e funghi secchi e grazie a questo ci fanno fare una fila interminabile a parte, manco trasportassi cocaina dalla Colombia.
Stai a vede’ che ci arrestano per il parmigiano. Arrivati al controllo, un’agente donna ci percula perché lo abbiamo pure dichiarato con una frase tipo ‘E voi avete fatto la fila perché trasportate parmigiano? Ah ah ah ah!!! Che pivelli! Qui c’è gente che ingerisce ovuli e voi per un po’ di cacio quanto la fate grossa.’
Io, come una tronfia italiota seguace di Cracco esclamo fiera ‘Trasporto anche funghi secchi profumatissimi!’ Al che il Santo mi zittisce con ‘Chetati, che qua sono a fine turno. Guarda un po’ se ti fanno fare un risottino seduta stante!’
Passiamo pure questa e ritiriamo le valige che profumano di caciotta e di bosco, e andiamo a ritirare la macchina in un’azienda che si chiama AVIS. Infatti ti dissanguano. Coincidenze? Io non credo.
Qui sentiamo la botta del viaggio e del fuso. In quei venti minuti in cui il Santo disquisisce sulle auto, io e Alice crolliamo sulle poltroncine come due barbone, con rivolo di bava annesso.
Alla fine prendiamo la nostra auto e arriviamo all’una di notte dai nostri cugini in New Jersey che ci accolgono con calore e con i quali abbiamo avuto una conversazione sana e lucida tipo:
D:‘Avete fatto buon viaggio?’
R:‘La capitale d’Italia è Roma’
D:‘Tutto bene?’
R: ‘Harrison Ford’
D: ‘Mi sa che siete stanchi’
R: ‘Le sette e un quarto.’
A quel punto ci hanno guidato ai letti, hanno spento la luce, e hanno pregato di trovarci almeno vivi il giorno dopo.







giovedì 27 ottobre 2016

Viaggio in USA: alla scoperta del Massachusetts, degli indiani e della casa del cuore.

Se mi chiedete "Massachusetts?" io rispondo "Casa!"
E ora vi spiego perché:


Vi basta come spiegazione? 
Questa è stata la nostra casa durante il nostro soggiorno a Northbridge, in Massachusetts, e inutile dire che ci abbiamo lasciato il cuore, gli occhi, ma pure il fegato perché una casa così non me la potrò permettere mai. Dire meravigliosa è dire poco. 


La casa era divisa in due, la zona messa a nostra disposizione da Kimberly era la parte inferiore (con veranda, salottino e ingresso principale) che ci faceva realmente sentire i padroni di casa. 


Raramente abbiamo soggiornato in una casa così bella fuori e dentro (forse se la gioca con una casa/fattoria in Irlanda) e raramente abbiamo avuto così tante stanze per una casa vacanza. 
Le foto, purtroppo, non rendono tutta la bellezza di questa dimora in stile vittoriano.
La casa comprendeva un ingresso molto ampio, due camere da letto (di cui una con il letto a baldacchino) una sala da pranzo, un salotto con camino, una cucina con dispensa (fornita di ogni cosa) un bagno e due ripostigli.






 Della cucina, ovviamente, mi sono innamorata all'istante. Semplice, spartana, con mobili grezzi di una verde malva pallido. Il piccolo tavolo rotondo (che riportava i segni di una vita vissuta pienamente) era collocato davanti alla finestra che, meraviglia delle meraviglie, si affacciava sul piccolo laghetto dietro casa. Sì, c'era pure il laghetto (buhahhahha, mi viene da piangere per la nostalgiaaaa). 
Manco vi sto a dire cosa ha significato tutto ciò per me: una casa stupenda, un laghetto, una stufa antica, una veranda, un camino. Nei dintorni una vecchia fabbrica, una ferrovia, un bosco. Anche se una non avesse voglia di scrivere, dipingere, comporre musica, qua le parte l'embolo creativo di sicuro.
La cucina era priva di televisione (scelta condivisa) e questo ci ha permesso di cenare assaporando minuto dopo minuto la pace del posto e il silenzio (interrotto solo da qualche animale del bosco che lì per lì ci hanno fatto pure prendere un colpo).
La mattina, infatti, spesso ci facevano compagnia dei simpatici scoiattoli.
Riassumendo: ti alzi la mattina, ti affacci alla finestra che dà sul lago  e gli scoiattoli ti fanno Ciao. Heidi scansate 'n attimo.



Comunque. Meglio non soffermarmi più sulla questione Casa di Kimberly (che per inciso è stata meravigliosamente disponibile e gentile)  se non voglio andare in depressione per i prossimi diciotto mesi.  Quindi parliamo della cittadina, va'.
Northbridge è carina, accessibile, molto tranquilla e sicura. Mi è sembrato il  tipico paesino americano nel quale succede poco e niente, quindi perfetto per noi che amiamo la tranquillità. L'abbiamo scelta perché ci sembrava perfetta per poter accedere a tutto quello che volevamo visitare del Massachusetts che, a differenza del Maine, offre molte più attrazioni e cose interessanti a livello culturale. Una di queste attrazioni è certamente Plymouth Plantation.



 Plymouth Plantation è un villaggio-museo nel quale vieni letteralmente catapultato  nel 1600.
Avete presente Benigni e Troisi a Frittole in Non ci resta che piangere? Bene, paro paro.
Il villaggio è una fedele ricostruzione dell'insediamento dei primi coloni costruito dagli inglesi. Passeggiando per le vie del villaggio potete incontrare i padri pellegrini intenti nelle loro faccende  quotidiane e ammirare gli orti e i giardini curati come si faceva all'epoca. Pure il cibo è preparato come allora e non pensate di avere facili risposte alle vostre domande, perché gli abitanti forse non capiranno per bene la vostra lingua. Infatti, per dialogare con chi abita in questo villaggio, dovete abbandonare i vostri panni e catapultarvi nel 1600. Vi chiederanno da dove venite e spesso faranno facce sorprese dicendo che non conoscono il vostro paese. Vi diranno che siete vestiti in modo strano e saranno affascinati dal vostro modo di porvi, di parlare e troveranno bizzarro quell'indumento che avete indosso che altro non è che  una giacca a vento.
I primi minuti sono spiazzanti, io ve lo dico. Gli abitanti di questo villaggio sono molto ciarlieri e ben disposti al dialogo, basta solo abbandonare quel che siamo e cercare di tornare indietro nel tempo. Sembra facile ma non lo è, credetemi. È un bel salto nella storia ed è un bell'esercizio per capire fino in fondo come vivevano all'epoca; questo fa sì che questo museo sia un gioiellino del Massachusetts.


 





In questo viaggio a ritroso nel tempo abbiamo avuto occasione di conoscere anche i nativi del territorio: i Wampanoag, che aiutarono gli inglesi a insediarsi al meglio in quella terra a loro sconosciuta.
E...ecco, siete mai entrati in una tenda 'vera'? Fatta di corteccia, pelli e legna? Siete mai stati in una tenda con del fuoco 'vero' che scoppietta al centro? Vi siete mai seduti accanto ai nativi americani per farvi raccontare come vivono, come si nutrono, come cacciano? No? Bene. Qui potete fare questa entusiasmante esperienza. Vi potete sedere e passare qualche minuto (vi assicuro che di più è quasi impossibile per il caldo e il fumo scaturito dal fuoco) con i Wampanoag che, a differenza dei personaggi del villaggio che interpretano un ruolo, sono dei veri nativi americani. Di conseguenza si esprimeranno nella loro lingua, quella della loro tribù. 





Inutile rimarcare quanto sia stata affascinante questa esperienza, così lontana da noi, dalla nostra storia, dalle nostre abitudini.
Non potevamo non finire questa giornata a spasso nel tempo non visitando la Mayflower, la nave con la quale i padri pellegrini salparono da Plymouth (Inghilterra) diretti negli Stati Uniti.



Anche qui vi accoglieranno persone disposte al dialogo che potranno raccontarvi la difficoltà e il disagio di quella lunga e terribile traversata. Mi raccomando: basta ricordarsi di essere nel 1600 e agire di conseguenza :-)
Plymouth.
Plymouth  è una cittadina piacevole, senza pretese e passeggiando sul lungomare non potete non imbattervi in una importante roccia, quella che riporta incisa la data 1620. Pare che questo fosse il luogo esatto in cui i padri pellegrini misero piede per la prima volta su queste terre.
Ma non è affascinante tutto ciò?
Piccola curiosità: sapete come nasce il giorno del Ringraziamento?
Quando i pellegrini arrivano in questo paese, portarono con loro semi di vari prodotti che purtroppo non attecchirono in quelle nuove terre. In loro aiuto arrivarono, come già detto prima, i nativi americani che li guidarono nella semina di piante idonee a quel terreno e suggerirono quali animali allevare, in particolar modo il granturco e i tacchini.
Il successo del primo raccolto, avuto grazie a questi consigli, indusse i pellegrini a indire un giorno di ringraziamento a Dio per l'abbondanza ricevuta. Nei secoli successivi il Giorno del Ringraziamento si è esteso anche in altri paesi.





Ecco, questa è stata una delle esperienze più belle ed entusiasmanti  di questo viaggio, insieme ad altre cose come l'avvistamento delle balene, di cui vi parlerò nel prossimo post. Perché il Massachusetts è questo e altro.

p.s. Vi invito, per comprendere al meglio questa esperienza, di leggere questo articolo al riguardo, che tra i tanti presenti in rete, ho trovato il più vicino a quello che ho percepito.

(to be continued)

lunedì 17 ottobre 2016

Viaggio in USA: quella volta a casa di Stephen King.




Sì, vabbè, detta così sembra che Stephen mi abbia ricevuto a casa sua, mi abbia pure fatto leggere le bozze del suo prossimo romanzo dicendomi "Se c'è qualcosa che non ti piace dimmelo che lo cambio, eh? Ci tengo al tuo parere!" e mi abbia pure offerto un bicchierino di brandy.
Ma de che.
Però questa è casa sua.
E il cancello era aperto. Spalancato.
E volevo entrare.
Poi mi hanno detto che con la polizia americana non si scherza e allora sono rimasta fuori a contemplare questa bella casa rossa dove il Re del brivido produce i romanzi che tutti noi conosciamo. 
Potrei fare la fan accanita e dire che  Bangor (cittadina del Maine dove alloggiavamo) l'abbiamo scelta perché è lì che abita King, ma voglio essere sincera: è stato un caso. E forse per questo ancora più bello. Ho letto tre dei suoi libri e uno di questi è nella mia top ten di romanzi preferiti: Il miglio verde. Tuttavia non posso dire di essere una vera fan: alcuni lavori l'ho apprezzati, ad altri proprio non mi ci sono mai avvicinata. Detto questo, ragazzi, è di Stephen King che stiamo parlando, mica micio micio bau bau. Quindi, una sera in cui cercavo informazioni sulla cittadina in cui alloggiavamo, mi spunta 'sta curiosità: eravamo a un km di distanza dalla casa de Re. E che non ci vuoi andare? Metti che lo incrocio mentre va a passeggiare con il cane. Metti che lo vedo mentre annaffia le aiuole. Metti che si affaccia al balcone e mi saluta con la manina a sogliola come la Regina Elisabetta. Invece no, manco l'ho visto. Ma era in casa, lo so. E magari ha visto una pazza che scattava foto alla rinfusa. Sono stata tentata davvero di entrare nel cortile, al limite mi avrebbero fermata i domestici, il giardiniere o un rottweiler, ma poi cosa avrei fatto? Bussato alla porta? Mi sono molto sorpresa del fatto che fosse tutto a portata di mano, tutto aperto, tutto accessibile. Mi hanno detto che molto spesso lo incrociano pure i vicini a prendere il pane, a passeggio o in giardino, e che si intrattiene a parlare come se niente fosse. Ecco, quel giorno evidentemente era a prendere il caffè perché io non l'ho visto.
Mentre stavo scattando queste foto si ferma pure una macchina e mi fa cenno di avvicinarmi. Un omino coi capelli bianchi mi dice qualcosa in inglese e temo che voglia vendermi una batteria di pentole, invece mi dice che questa è la casa di King (ma va'? Ma davvero? Pensa che la stavo fotografando così, per hobby) ma pure quella accanto è sua. Un'altra villa, questa volta bianca. Insomma, pare che le vendite dei libri, in questi anni gli siano andate bene! A parte gli scherzi, è stata una bella emozione e la casa lo rispecchia molto (basta guardare il cancello in perfetto stile horror/gotico che sotto Halloween è pure  la morte sua), senza considerare che ho assaporato, guardato, toccato e sentito tutto ciò che ha ispirato il gran maestro della paura: il suo Maine, i luoghi che lo hanno ispirato e il paese che lui ama più di ogni altra cosa, tanto da ritrovarlo in quasi tutti i suoi romanzi.




Chiusa parentesi King, i giorni che ci rimangono nel Maine, li passiamo con quello che il Maine ci offre: ovvero laghi, coste e negozi tipici. 



Come ho detto nel primo post, il Maine affascina proprio per questo: natura natura natura.



Dalla mappa, dall'intuito, dal fato e dal destino, un giorno ci lasciamo guidare verso un paesino: Greenville.
Quando arriviamo pare una landa desolata anche se la guida la definisce una ridente cittadina. Ecco, nel Maine questo concetto è un po' astratto. Per loro un pub, un negozio e un laghetto in duecento metri quadri, è una ridente cittadina. Non ci scoraggiamo e decidiamo di visitarla. A farci compagnia, in questa breve sosta, orsi intagliati e una marcatissima aria montana fatta di legname e baite. Come ho già detto nel post precedente, la vicinanza con il Canada si sente fortissimo e Greenville ne è la prova. 




Qui visitiamo uno dei negozi più belli di tutto il nostro viaggio americano: l'Indian Store.
Quello che all'esterno si presenta come un rigattiere, all'interno incanta per la sua atmosfera che richiama moltissimo i pellerossa e tutto ciò che gira intorno a quell'epoca. Anche qui la fanno da padrone i vari suppellettili tipici di questa zona e il legno, ancora una volta, è il protagonista indiscusso.




Il nostro giro giornaliero si conclude con una visione d'insieme del Moose Lake, dove siamo stati sorpresi da un acquazzone che ha testato la nostra preparazione atletica nella disciplina 'rifugiati in macchina prima del diluvio universale'.




 Nel Maine, oltre le aragoste, sono famosi anche i fari. Decidiamo di visitarne due: l'Owls Head Lighthouse e il Portland Head Light a Cape Elizabeth.
Il primo è un piccolo faro bianco del 1825 e intorno a lui aleggiano  storie e leggende che sicuramente aggiungono fascino al luogo (se mai ce ne fosse bisogno). Sorprendentemente è un faro non molto alto ma è situato alla base di un promontorio e ci si accede tramite una breve passeggiata nel bosco.

 
 Il faro è visitabile all'interno e si può salire tramite una piccola scaletta. La permanenza, per questioni di spazio e sicurezza,  è di dieci minuti e per due/tre persone alla volta. Da lì, la vista è mozzafiato: il faro troneggia fiero sul mare punteggiato, su questo tratto di costa, da innumerevoli boe che segnalano la pesca all'aragosta.



 Il faro di Portland, il più antico del Maine e commissionato da George Washington nel 1791, invece sembra appena uscito da un villaggio Lego.



A corredare il faro, la casa del custode dal tetto rosso e un piccolo museo, che però non abbiamo visitato.  Decisamente più affollato ma non per questo meno accattivante si trova in un punto molto panoramico e suggestivo.






Noi ci siamo arrivati nel pomeriggio inoltrato ma sarebbe stato splendido verso il tramonto e magari fotografato da un' altra prospettiva come dimostra questa foto di Kaptain Kimo.

Il giorno dopo dicevamo addio al Maine, il nostro soggiorno stava per terminare. Prima di recarci nel Massachusetts dove ci aspettava una casa da sogno (ve ne parlerò nel prossimo post)  ci siamo concessi una sosta a Crescent Beach, una spiaggia molto ampia dalla sabbia finissima.
Qui abbiamo dovuto pagare per accedervi e il prezzo è piuttosto alto (sui 25 dollari) dato che si trova all'interno di un parco. Devo dire che il posto è tenuto divinamente, con un ampio parcheggio e spiaggia pulitissima dove ci siamo goduti una giornata di relax prima di dire definitivamente addio al Maine.





 Nel prossimo post il Massachusetts, uno stato che ci ha fatto vivere delle esperienze indimenticabili!

(to be continued)



venerdì 16 settembre 2016

Viaggio in USA. Il Maine (parte 1)



Quando si nomina il Maine, il più delle volte viene citata quella donnina curiosa che risolve i misteri che risponde al nome di Jessica Fletcher. La conoscete, no? Cabot Cove...la casa di legno...eh, peccato che sì, la serie è ambientata nel Maine ma in realtà è girata in California. Questo per dirvi che Jessica Fletcher non l'ho vista ma il Maine me lo sono goduto eccome, per una serie di motivi. Il principale è che mi ha ispirato tantissimo. Ma tantissimo. Quando abbiamo pianificato questa tappa avevo già in mente la trama del prossimo romanzo e mi serviva giust'appunto un luogo, delle atmosfere, che mi facessero mettere i puntini sulle i, che mi aggiustassero il tiro su determinate scene che avevo in mente e devo dire che il Maine ha soddisfatto appieno questa mia personale e stravagante richiesta. Quindi a me ha affascinato tantissimo nonostante, a livello di interesse, non sia tra gli stati più accattivanti. 
Se vuoi tante attrazioni, grandi città e molta 'vita' il Maine non fa per te.
Se invece vuoi tranquillità, natura e adori circondarti del niente (come dico io) tornerai rigenerato.
Il Maine offre coste selvagge e paesaggi prevalentemente montani, dove il legno in ogni sua forma, (che siano abitazioni o oggetti per la casa), la fa da padrone. La vicinanza con il Canada si sente fortemente, sia lungo le strade costeggiate da abeti, sia per la fauna presente (alci ne abbiamo?)


Questo connubio tra mare e monti a me piace tantissimo perché offre molta variabilità. In un solo giorno puoi fare colazione respirando l'aria di mare, rilassarti in riva a un lago nel pomeriggio e cenare in un piccolo ristorante tutto di legno circondata da orsi e abeti.
Il Maine offre questo a chiunque abbia poche pretese se non quella di lasciarsi avvolgere dalla natura. Armati di binocolo potreste togliervi delle soddisfazioni e potreste ammirare da vicino un'aquila in volo o un alce mentre si gode la lentezza di un lago, o un cervo che si nasconde tra gli alberi o una puzzola dispettosa che vi impesta giusto un filino. E poi castori, volpi, coyote, linci, marmotte, porcospini e chi più ne ha più ne metta. Il paradiso degli animali per la gioia di grandi e piccini.
Una tappa fondamentale nel visitare il Maine è certamente l'Acadia National Park una vera e propria perla della costa orientale degli Stati Uniti.
Il punto più suggestivo  del parco è senz'altro  il Cadillac Mountain, il punto più alto della contea di Hancock. Da qui si gode una magnifica vista della baia e un senso di onnipotenza che non vi dico.






 Ovviamente in questo grande parco non mancano le spiagge e non ci siamo fatti sfuggire quella sulla via del ritorno, per un pranzo frugale e la prima 'abbronzatura' americana che ci ha lievemente strinato. Sì, perché l'aria del Maine è montana, quindi fresca e il sole lo senti ma non lo percepisci perché difficilmente sudi, quindi il rischio di scottature è alto. Inutile dire che è la temperatura perfetta per il mare ma meno per l'acqua perché qui è veramente fredda.



 Alcune spiagge sono selvagge, frastagliate, disordinate,  in balia dei venti e delle alghe ed è lì secondo me la vera bellezza. L'uomo non tocca e lascia che sia la natura a plasmare la costa con i suoi detriti e i suoi umori. Altre invece (sulle coste degli Stati Uniti)  sono private, ugualmente accessibili e belle, ma si perde un po' quel senso di libertà che il mare spesso offre (ma non è il caso di quelle vi mostro qua)










Un altro luogo che merita certamente una visita è il Lago di Jordan Pond, sempre facente parte dell'Acadia National Park.
L'aria che si respira qui è certamente rilassante e incontaminata. L'acqua del lago, limpida e trasparente, inviterebbe a un bagno ma è severamente vietato perché l'acqua è...potabile. Arriva fino in paese per svariati usi ed come un'opera d'arte: guardare ma non toccare.





  Il lago è circondato da  un percorso che si può tranquillamente fare in compagnia di animali del bosco (aridaje), 'na roba che pure Biancaneve sarebbe invidiosa di voi.





Certamente dopo una camminata c'è bisogno di un po' di cibo e potete gustare dei Popover (dolcetti tipo muffin da gustare con dell'ottimo tè) nel bistrot vicino al lago. Nonostante non ami molto la contaminazione di luoghi naturali con bar, caffetterie e roba varia, devo dire che il posto non solo è piacevole e silenzioso nel rispetto di dove ci troviamo, ma davvero potreste provare una ricetta tradizionale gustata in uno dei luoghi più incantevoli del Maine. Quindi sì, il Popover s'ha da fare.


 Un'altra chicca del Maine sono le piccole città sul mare. Sono semplicemente in-can-te-vo-li.
Sicuramente da citare Bar Harbor e Camden.
La prima è una graziosa cittadina che si gira davvero in pochissimo tempo: sembra un villaggino dei Lego. Nonostante sia costellata da piccoli negozi graziosi con una chiara impronta turistica, Bar Harbor è piacevole e solare e ci si può tranquillamente immergere nella vita marinara che questo tipo di luoghi comporta.



Camden, invece, è ancora più bella. Località anche questa piccola, ma c'è l'essenziale per trascorrere qualche ora spensierata tra i negozi, il porticciolo, locali sul molo e...matrimoni. Sì, perché siamo stati spettatori di un matrimonio celebrato all'aperto. (Quanto me piace 'sta cosa! ndr)

Camden, per gli appassionati di vela, è una vera chicca. Si trova nella Penobscot Bay, alla base delle colline del Camden Hills State Park.





   La vita che si respira qui non è quella del classico porto che sa di pesce, ma piuttosto sembra quasi un set cinematografico da quanto è perfetto, limpido, lineare e curato.




 




  A Camden si possono trovare librerie con sale da tè (come 'il Gufo e la Tartaruga'), chiesette di legno bianche, case con delle verande in legno così belle da sembrare finte, negozi di artigianato locale e tante, tantissime lobster (aragosta) in tutte le salse.
Questa cosa la dovevo dire all'inizio, forse. Il Maine è la patria dell'aragosta. Se il nostro detto è 'Non dire gatto se non l'hai nel sacco', qui probabilmente si usa dire 'Non dire Aragosta se non sei nel Maine'. Vi viene presentata cotta, cruda, nel panino, come contorno, sul diario della scuola, come peluche, come cerchietto per capelli, come attaccapanni e pure nella dentiera della nonna. Ricordate Bubba coi gamberetti? Eh, fate conto la stessa cosa. Gli dedicano festival, sagre, feste paesane, libri, quadri, poster e tutto ciò che vi viene in mente. Gli abitanti del Maine ne vanno molto fieri e la prima cosa che probabilmente vi viene offerta in quanto ospiti è un panino all'aragosta. A differenza dell'Italia, dove l'aragosta viene considerata un piatto prelibato e costoso, nel Maine è un piatto comune e la si può trovare anche lungo le strade ficcata in un panino.




Se ve lo state domandando la risposta è sì: il cerchietto della signora stavo per comprarlo, è che non l'ho trovato.

(to be continued)

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