giovedì 23 agosto 2018

COME CANTAVA LIZA MINNELLI: NEW YORK NEW YORK! - Viaggio USA - 2 -

 

Il giorno dopo i cugini non solo ci trovano vivi, ma pure svegli dalle cinque di mattina grazie al jet leg che ci ha scombussolato i neuroni. Occhi talmente pallati che sembriamo tre gufi sotto anfetamine.
La giornata la trascorriamo cercando di riprenderci con un po’ di shopping e facendoci coccolare dai parenti a colpi di pappardelle ai funghi e bistecche alla brace.
Il giorno dopo siamo pronti per New York, che raggiungiamo col treno dei pendolari e ci scende direttamente sulla settima.
Prima tappa: Grand Central Terminal.  Lo so, detta così, sembriamo dei rincoglioniti: usciamo da una stazione per visitarne un’altra, ma questa è ‘davvero’ una stazione speciale. Non solo pare sia la stazione più grande del mondo, ma ci sono stati girati parecchi film: Armageddon, Intrigo internazionale, Il collezionista di ossa, Un giorno per caso con quel gran tronco di pino di George Clooney, per dirne alcuni.
Effettivamente è molto bella e talmente sciccosa che a me e ad Aly pare di scorgere tra la folla pure gente famosa. Per conferma chiedo al Santo:
“Amo’, guarda quella bionda.”
“Eh. Quindi?”
“Secondo te chi è?”
“Una gnocca?”
Dicevo: la stazione è molto spaziosa e interessantissima.
Vista la risposta del Santo, propongo una visita al Rockfeller Center, in particolare al Top of the Rock, così, tanto da buttarlo di sotto inavvertitamente.
Saliamo al 67 piano dopo aver donato un rene alla macchinetta dei biglietti, ma ne vale così tanto la pena che quasi quasi ci ritorno prendendo le scale così gli lascio anche il cuore e un polmone. Le ovaie invece non ce le ho più in loco perché l’ascensore parte a razzo e me le ritrovo al posto delle tonsille.
La vista, ovviamente, non ha eguali.
In cima facciamo 77598477 foto più o meno tutte uguali e reggiamo i grattacieli con le mani prendendomi una rivincita per tutti i turisti che reggono la mia torre di Pisa.
Ci sediamo lungo il muro e fissiamo il panorama con la stessa intensità di tre pensionati intenti ad ammirare un cantiere. C’è un po’ di venticello, New York dall’alto è bellissima, l’atmosfera meravigliosa e cerco di immortalare il momento sparandomi dei selfie che puntualmente fanno cagare. Provo a girarmi e mi si cappottano i capelli. Sembro la bambina di The Ring.
Dopo un tempo interminabile dove vediamo cambiare pure le generazioni dei turisti, decidiamo a malincuore di scendere per proseguire la visita della città e quello che ci eravamo prefissati:
Il Downton Abbey Exhibition.
Per gli appassionati di questa serie tv, tutto ciò è il massimo: ricostruzioni dei set, abiti e tutto ciò che riguarda una delle serie inglesi più amate.
Inutile dire che ho fatto gli onori di casa, ma Lady Violet mi ha guardato male. Si vede che non le piaceva il mio abito da cerimonia.
Tuttavia me lo sono goduto alla grande e vedere gli abiti di scena e le ricostruzioni tipo la cucina (la mia stanza preferita) mi ha fatto un certo effetto.
Usciti di lì ci buttiamo nella calca di Time Square dove ci allietano con numeri da circo e cantanti country nudi che io e il Santo abbiamo arruolato per la nuova stagione. Al grido di ‘Io il biondo e te la mora’ abbiamo raggiunto un compromesso e tutti contenti. Anche se a me, detto tra noi, va meglio. Il mio è sodo, pe’ capisse.
Comunque.
Troviamo pure, come sempre, negozi di Natale aperti tutto l’anno dove giace roba improbabile come addobbi a forma di parmigiano o prosciutto per lo zio salumiere, il camice e il dentifricio per il cugino dentista e la donnina col camice per l’amica specializzanda in medicina. Chi non ama regalare, ma soprattutto ricevere, regali del genere per addobbare il proprio alberello? A NY lo puoi fare! (dopo aver visto questo sto rivalutando tutte le pashime, i calzini di lana e i babbonatalini di feltro che ho ricevuto in 45 anni.) Tuttavia il Santo mi trascina via prima che acquisti un addobbo utilissimo a forma di incudine che, voglio dire, a Natale è la morte sua.
Usciti di lì non ricordo più nulla. Perché New York ti inghiotte, ti ubriaca, ti stordisce di musica, suoni e colori. Ti senti, e in qualche modo lo sei, al centro del mondo.
La lasciamo sull’ora del tramonto con la promessa, nei giorni seguenti, di rimanere fino a sera. Ci riusciremo, con un grande spettacolo sotto i nostri occhi.
Ah, qualcosa di Natale poi ho acquistato nei giorni seguenti. Ma non lì dal pizzicarolo, ma al Christmas Cottage sulla settima.
Una bellissima, fascinosa, rossissima, fantasmagorica slitta!
Originale a Natale, vero?

















mercoledì 22 agosto 2018

DIARIO DI VIAGGIO USA - GIORNO 1


Ebbene, siamo tornati negli States.
Il viaggio si è scostato di poco con i luoghi che abbiamo visitato due anni fa: siamo andati dai parenti e abbiamo fatto alcune zone che non siamo riusciti a vedere la volta scorsa tipo Philadelphia, Cape Cod, alcune zone di New York, la costa del New Jersey, varie ed eventuali.

Partiamo in un’assolata mattinata toscana dove, con volo tranquillo, atterriamo a Londra due ore dopo. Qui ci aspettano cinque ore e mezzo di sosta in aeroporto che sembrano poche ma vi assicuro che sono un’eternità prima di prendere il volo per New York. A un certo punto mi sono sentita talmente Tom Hanks in ‘The terminal’ che mi sono fatta un indiano per amico e ho costruito un bagno di mattonelle azzurre in un anfratto di Heathrow. Per fortuna a casa avevo trovato delle vecchie sterline che ci hanno permesso di girovagare per negozi comprando minchiate e cibo che, grazie al mio inglese perfetto, mi è stato servito da un barista con un’espressione che diceva ‘Ma è turca?’
Un tipico esempio di conversazione made in Simo è:
“Ci vuole del latte nel caffè?” (in inglese)
“Ma per carità!”
“Prego?”
“No”
“Perché?” (in inglese con sorriso)
“PERCHÉ UMMIPIACE” (in toscano con cadenza pisana e momenti ci aggiungo anche un boia dè.)
Abbiamo mangiato roba da colazione alle due del pomeriggio, poi ceneremo all’ora di coricarsi, per poi pranzare all’ora di cena, ma si sa, col fuso orario è così: non ci si capisce ‘n cazzo.
Arriviamo all’imbarco e il Santo viene interrogato da un’addetta con domande talmente ficcanti che temo gli abbia chiesto anche il codice iban. Lui risponde come se avesse studiato e a un certo punto dichiara che io sono sua moglie. La donna mi squadra con un’espressione che diceva ‘Ma poraccio come sei messo male’ e facendo una smorfia di disapprovazione mi applica sul passaporto un bollino rosso. Il Santo e Alice ‘sto bollino lo hanno blu. Evito di fare scenate solo perché non parlo perfettamente inglese, ma il fatto che mi abbia bollato con la lettera scarlatta R di Rincoglionita, non mi va giù. Arriviamo al gate e questa volta è un ragazzo a spulciare i passaporti e visto il mio bollino Chichita mi dirotta a un controllo supplementare. Si vede che ho la faccia da serial killer. A dirmi di spogliarmi e aprire il trolley trovo un signore di colore che somiglia a quello che faceva i Jefferson. Lui parla, io non capisco un cazzo e allora troviamo un compromesso: dialoghiamo a gesti come i primati. Da lontano sembra un numero di mimi. Mi fa togliere le scarpe, incarica una collega di tastarmi tutta e indicandomi gli oggetti me li fa aprire: cover cellulare, cover tablet, busta dei trucchi e in capo a un minuto sul tavolo pareva di essere a una bancarella al mercato. Non solo: presa dall’ansia da prestazione faccio esplodere un beauty e mutande, tamponi e assorbenti ‘volano’ anche senza ali, letteralmente sul banco. Un cotton fioc gli atterra ai piedi.
Con la coda dell’occhio vedo il Santo che mi guarda con orrore da un angolo e mi mima qualcosa come:
‘La Gigia’ e mi pare strano perché sì, è roba intima, ma non me l’ha mai chiamata così.
‘È grigia’ ma il mio trolley è nero.
‘La zia Luigia’ e temo abbia appena avuto l’apparizione della zia defunta nell’82.
Poi capisco. Mi sta dicendo LA VALIGIA.
Solo allora mi rendo conto che quella che l’omino sta controllando è quella di mio fratello che fa il giro di amici e parenti. L’ultima volta l’ha prestata a un amico che andava ad Amsterdam e ho un flash.
Mi vedo già dietro le sbarre a piangere un ‘Viggiuro, non è mia, e anche se avessi scoperto quel pacchettino per me era origano!” Sudo freddo aspettandomi i cani antidroga e penso ‘La signora al piano di sotto ha capito che sono amica, e a questo punto complice, di narcotrafficanti!’
Mentre vedo sfumare il mio viaggio negli USA, l’omino mi dice ‘Tutto ok, si può rivestire’ mimando tutto con le mani tipo Gioca Jouer. Io dalla contentezza mi metto le scarpe invertite e dopo due passi a momenti mi pianto nelle poltroncine.
Finalmente prendiamo posto in aereo; il Santo entra in modalità coma profondo (dal quale si risveglierà solo per cibarsi) Alice si spara qualche film mentre io impiego otto ore di volo solo per capire come mettere il cellulare in modalità aereo e perché, se il mio orologio segna le undici di sera, fuori ci sia il sole.
Comunque sia ci godiamo un bel tramonto sul Canada, una cenetta con pollo in salsa barbecue e i sorrisi di uno steward che mi ricordava Jerry Lewis.
Arrivati al JFK ci ritoccano i controlli, chi siete, dove andate, un fiorino. Come due persone per bene (e come ogni italiano che va a trovare i parenti all’estero) dichiariamo di trasportare parmigiano e funghi secchi e grazie a questo ci fanno fare una fila interminabile a parte, manco trasportassi cocaina dalla Colombia.
Stai a vede’ che ci arrestano per il parmigiano. Arrivati al controllo, un’agente donna ci percula perché lo abbiamo pure dichiarato con una frase tipo ‘E voi avete fatto la fila perché trasportate parmigiano? Ah ah ah ah!!! Che pivelli! Qui c’è gente che ingerisce ovuli e voi per un po’ di cacio quanto la fate grossa.’
Io, come una tronfia italiota seguace di Cracco esclamo fiera ‘Trasporto anche funghi secchi profumatissimi!’ Al che il Santo mi zittisce con ‘Chetati, che qua sono a fine turno. Guarda un po’ se ti fanno fare un risottino seduta stante!’
Passiamo pure questa e ritiriamo le valige che profumano di caciotta e di bosco, e andiamo a ritirare la macchina in un’azienda che si chiama AVIS. Infatti ti dissanguano. Coincidenze? Io non credo.
Qui sentiamo la botta del viaggio e del fuso. In quei venti minuti in cui il Santo disquisisce sulle auto, io e Alice crolliamo sulle poltroncine come due barbone, con rivolo di bava annesso.
Alla fine prendiamo la nostra auto e arriviamo all’una di notte dai nostri cugini in New Jersey che ci accolgono con calore e con i quali abbiamo avuto una conversazione sana e lucida tipo:
D:‘Avete fatto buon viaggio?’
R:‘La capitale d’Italia è Roma’
D:‘Tutto bene?’
R: ‘Harrison Ford’
D: ‘Mi sa che siete stanchi’
R: ‘Le sette e un quarto.’
A quel punto ci hanno guidato ai letti, hanno spento la luce, e hanno pregato di trovarci almeno vivi il giorno dopo.







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