venerdì 4 dicembre 2020

Mi guardo a dicembre

 


Mi guardo nel dicembre del 2010. Avevo un lavoro che in questo mese mi massacrava, ma mi piaceva, e tanto. Sacrificavo la mia famiglia e gli affetti a tal punto da avere a metà novembre già fatto tutti i regali e arrivare al pranzo di Natale con una stanchezza atroce. Natale e santo Stefano ero solo per Alice, per Andrea, per mia madre che si preoccupava che mangiassi abbastanza 'Che poi il 27 ricominci'. La mattina del 25 facevamo trovare ad Alice le campanelline lasciate da un Babbo Natale distratto, i biscotti mangiucchiati, i regali in bella vista vicino al divano.

Mi guardo nel dicembre del 2000. Avevo 27 anni ed ero incinta di Alice; proprio ieri avrei finito il tempo, ma non ne voleva sapere. Ci sarebbero volute quasi altre due settimane. Una gravidanza bellissima che spazzò via quella lettera di licenziamento che mia madre mi portò all'ospedale. Senza lavoro, ma con una figlia. Una fine e un principio; tutto sommato mi sembrò un bel segnale. Era un cominciare qualcosa di nuovo, di bello. Abitavamo in centro, al terzo piano senza ascensore, senza un balcone. Un anno pieno di senza. Siamo scappati da lì due anni dopo, senza guardarci indietro.
Mi guardo nel dicembre del 1990. Una giovane di belle speranze, non ancora maggiorenne. Fisico asciutto, tonico, da atleta. Gli auguri in palestra, il campionato già avviato, la maglia col numero 7 fermata con un elastico dietro la schiena, i capelli lunghissimi legati da due nastri, sia mai che venissi distratta da un ciuffo o da una maglia che sbuffa fuori dai pantaloncini. Centrata e concentrata. Pochi fronzoli in campo e tacchi e rossetto fuori. Sicura e spavalda come una donna vissuta, ma piena di insicurezze nelle quali mi specchiavo per crescere, per farmi del male. Solo così imparavo.
Mi guardo nel dicembre 1980. Avevo sette anni. L'albero di natale in un angolo del salotto, i fili argentati un po' spelacchiati, messi diligentemente tutti intorno. Mamma che aveva fatto tardi la sera prima per aggiustare le lucine, un tempo si riparava tutto: le scarpe, i vasi rotti, le famiglie. Babbo preparava il presepe, era un campione. Dalle sue mani callose, della carta prendeva vita trasformandosi in montagne, lo specchio a mo' di laghetto, le paperelle un po' mangiucchiate da qualche gatto, il muschio mescolato ai sassolini. C'era anche il fotografo a immortalare il Natale, un amico di famiglia. 'Più vicini' diceva. Io e mio fratello ci guardavamo e non capivamo. A volte fissavo il pavimento sale e pepe, mi divertivo a vederci delle immagini. Poi alzavo lo sguardo e sorridevo.
Mi guardo nel dicembre 2020. Ho 47 anni. L'albero è sempre in un angolo del salotto, ma di una casa che ho scelto e che amo. I fili argentati li ho banditi da un po', al loro posto i fiocchi, con dei nodi stretti stretti. Abbiamo un presepe minimal, statuine che devono ancora essere piazzate. Fare il presepe è un'arte, ho deciso di lasciarla a mio padre. I capelli sono molto più corti, ma sempre fermati con gli elastici perché sono rimasti indisciplinati, ho bisogno di avere la fronte libera per capire e gli occhi sgombri per guardare. Il rossetto non lo metto più, ho troppe guance da baciare; i tacchi invece sì, mi piace sempre essere all'altezza. Di lavori adesso ne ho due, da una sottrazione si è moltiplicato, vedo gente e scrivo storie, di uno sono anche il mio capo, mi tratto bene, sono clemente. Da molto tempo non lasciamo più la campanellina di Babbo Natale, ma alle orecchie di Alice suona ancora.


(ph: Markus Spiske/Unsplash)

sabato 7 novembre 2020

Lettera aperta a Donald Trump

  



 

Dear Donald,

my name is Simona and sono una italian writer and... se vabbè, you manco read the first five righe, già te vedo.
Comunque ce provo.
Sono days che ti guardo on television for elezioni and devo dire che di politics non ci capisco un dick, but so riconoscere quando uno is agitated.
Te devi dà na carmata, Trampolino. (yes, accessorio for pool, but anche nomignolo for statte a percul... lascia fa, FIDATE)
Anyway.
A ogni comizio batti the feet come a children of six years al quale hanno sgraffignated the merenda.
Coi voti me pari the bird of sea (gabbiano, you understand?) of Nemo "Mio! Mio! Mio! Mio!"
Ao'.
Carmate.
Che poi at your age, is pericoloso abbestia: te schioppa er core.
Te se sfranteca l'heart, capito? Che già il Covid t'ha voluto bene, mo' non esagera'. Fatte fa' a camomilla dalla tua gnoccolon wife, the massage rilassante, 'na gitarella out door... roba così. Non ci devi pensa' a the votes.
And poi, che gliela vogliamo dare una sciabolata to the hair? My mother ti chiama CIUFFONE, l'ho sentita io yesterday con queste ears. Ha detto che your cut fa pietà. Che suo coussssin con ten euro te li fa meglio. And cambiare color? Mo' sono yellow paglierino, stessa nuance dell'analisi mie quando mangio the asparagus. Some moments me pari Enzo Paolo Turchi.
And poi basta with 'sta story che vuoi riconta' the votes. Che è all 'truccato'. Che poi parli you che al posto del corrector usi the cemento a pronta presa.
Sei orange in the face, Donald. Te dai the fard with pennellessa Cinghiale. E mo' parli di trucchi. Daje. Smettila un po'.
Vabbè, as always con ste letters: non lo faccio for me, lo faccio for you. For la tua image. For your salute.
And remember: KEEP CALM AND PIJATE NA CAMOMILLA.
Dall'Italy with furore,
Simona

domenica 13 settembre 2020

Il coraggio di tagliare

 Durante la stesura di un romanzo sono stata inchiodata all'inizio di un capitolo. Volevo fortemente scrivere un passaggio, QUEL passaggio. Secondo me era incisivo, forte, bello. Lo volevo mettere lì a tutti costi perché me lo ero recitato nella mente un giorno intero e ce lo volevo ficcare, era perfetto. Però poi la stesura non decollava, non legava in nessun modo con il resto, facevo una fatica bestiale per dare un senso a quello che veniva dopo. Stonava come un intro rock nel coro della chiesa: magari bello sì, ma completamente fuori luogo, e fuori contesto. Mi ci sono incaponita per tre giorni finché mi son detta "Sai che c'è? Ma vaffanculo. Io taglio. E ribalto tutto."
Il capitolo, a quel punto, l'ho finito. Da lì tutto ha cominciato a scorrere dall'inizio alla fine in modo semplice, diretto e lineare. Tutto torna.
E allora mi son venute in mente quelle storie d'amore dove ci si incaponisce, si vuole LUI per forza, perché nel nostro immaginario è perfetto anche se è evidente che non lega, non funziona, non ci dà la gioia sperata, ma ci rende la vita un inferno e ci complica l'esistenza.
Ecco, quando vi imbattete in questi inizi di capitoli, tagliate. Senza indugio. Voltate pagina e ricominciate da capo, a costo di ribaltare la storia. La 'vostra' storia;
perché quello che vi sembrava perfetto, in realtà 'rileggendolo', faceva schifo.

(ph: unsplash)



venerdì 11 settembre 2020

Canta ancora

 Stamattina al mercato c'era un bimbino dentro un passeggino che cantava a squarciagola l'ultima canzone della Amoroso. Seguiva battendo le mani la musica che fuoriusciva dalla radio di un ambulante e in pochi secondi ha catalizzato involontariamente l'attenzione su di sé. Era così convinto, così bellino e così a tempo che sembrava tutto studiato. Ci siamo fermati un po' tutti sorridendo davanti a questo piccoletto canterino fino a che qualcuno benevolmente gli ha detto "Bravo!" e da lì sono seguiti altri complimenti.
Lui si è zittito di colpo. Si è spezzato l'incantesimo. Nemmeno si era accorto di essere stato guardato e soprattutto ascoltato. Lo aveva fatto e basta, con quella spensieratezza e spontaneità tipica dei bambini.
A nulla sono valse le parole della mamma: "Dai, canta ancora... com'è che fa?" Ma niente. Lui ci guardava tutti e sembrava dire: ma che volete da me? E più che gli dicevano 'Eri bravo! Dai canta ancora!' e più lui si girava dall'altra parte, vergognandosi.
Io ti capisco, piccoletto. Io sono come te: le cose mi devono nascere spontanee, dal cuore, dall'impeto, dal momento. A fare le cose a richiesta, a comando, non sono mai stata brava.
Ma un giorno forse crescerò.

martedì 8 settembre 2020

Mi chiamo Mey

 Mi chiamo Mey e vengo dalla Birmania. Non mi ritrovo a dichiararlo spesso, anche se i miei tratti tradiscono la mia provenienza. Ma un giorno è accaduto. Ero al mercato, mi stavo servendo al solito banco. La commessa mi serve con gentilezza, ma mi fissa con insistenza il cappello che indosso questa mattina.
"Le guardavo il cappello" mi confessa infatti dopo avermi fatto il resto.
"Le piace?"
"Moltissimo"
Decido di sorprenderla. "Guardi..." lo tolgo dalla testa e con pochi e semplici gesti lo chiudo a fisarmonica.
La donna spalanca gli occhi.
"Ma è magnifico!"
"Sì, è anche comodo. Può essere messo comodamente in borsa."
"Infatti!" Ribatte ancora più entusiasta."Poi io ho la fissa dei cappelli e questo è particolare. Immagino sia tipico del suo paese. Vietnam?"
"No, Birmania."
La donna mi guarda con ammirazione e continua curiosa: "Da quanto è in Italia?"
"9 anni"
"Lavoro?"
"Amore. Ho sposato un italiano."
"Uh!" Squittisce lei alzando le sopracciglia."Come lo ha conosciuto?"
"Lui era lì in vacanza... io ero la sua guida turistica..." la frase mi esce maliziosa e ridiamo insieme mentre lei esclama:
"Ma che meraviglia!"
Rispiego il cappello e me lo calco di nuovo in testa mentre le racconto un po' della mia storia.
"Torna mai a casa? In Birmania, intendo" mi chiede ancora questa commessa curiosa.
"Sì, certo. Se tutto va bene, virus permettendo, a dicembre tornerò a trovare la mia famiglia."
"Bene..." fa una pausa poi riprende "Senta... vorrei farle una richiesta..."
Ma io ho già capito. "Glielo porto."
Le si illuminano gli occhi. "Davvero?Ci terrei tanto. Le do subito i soldi se vuole..."
Alzo le mani "Non scherzi, lo faccio volentieri. Passo spesso di qui e la tengo aggiornata"
"Non sa come mi fa felice. Per lei magari è poca cosa, ma io non vedo l'ora di sfoggiare il cappello del suo paese."
"Allora d'accordo!" Le rispondo facendomi contagiare dal suo entusiasmo.
La saluto con un gesto della mano ritrovandomi a sorridere per questa cosa buffa: raccontare la mia storia grazie a un banale copricapo e una commessa curiosa.
E niente, non potete capire con quanta gioia io aspetti il cappello di Mey.


(ph: unsplash)

mercoledì 26 agosto 2020

Dear Sean Connery...

 



Dear Sean,
o preferisci Sir?
Sono Simo, you non mi conosci but te posso assicura' che la friend tua, la Betty, sa chi sono. Call her, ti spiegherà.
I'm sorry se ti auguro Happy Birthday the day after, but yesterday quando ho appreso the news ero in the car e you sai che to drive a me riesce bene quanto a te non essere un big actor, quindi I can not distrarmi per non piantarmi in a tree.
Anyway.
Avrei for you a question: but come ci si sente a compiere 90 years ed essere comunque un arrovella hormones for noi women?
Because qui te bomberebbero all, a partire da grandmother Abelarda, alla aunt Peppina, passando da quelle più young.
And poi, for dirla tutta, you sei come the wine, più invecchi, più sei bono (old frase di una banality imbarazzante, but questa c'ho)
My mother for you se strapperebbe la filanca delle big slip e la pancera del doctor Gibaud. Ha già avvertito my father: "Se Sean Connery mi chiedesse di scappare with him, not ci penserei two volte!"
My father la guarda and scuote the head "But chi te se piglia!"
Infatti my mother is sempre lì.
Questo for dirti that sei stato in my house da always, fin dai tempi di zerozeroseven, quando you avevi quelle orecchie little little Dumbo style, but eri comunque un bel piece of gnocco, eh? But with qualche years in più, acquisti charm, beauty, quel certo non so che... da tronysta geriatric. Il David Gandy delle grandmother, il bronze di Riace delle ottuagenarie, il Can Yaman delle old ladies.
Roba che se trasmettono a your film in the ospizio, le trovano a fare the lap dance aggrappate al deambulatore.
E nothing... tutto qui.
Spero you voglia accettare my auguri in ritardo, my favourite scottish. Fai conto che sia your nipote, ok?
With Love
Simona
p.s. one cosa: siccome I'm not tua nipote, se me volessi invita' a dinner, magari a lume of candle, io ce sto.
Così.
For dire.

lunedì 24 agosto 2020

La Rabatana di Tursi




"E com'è la Rabatana di Tursi?"
"Tipo Craco."
È bastata questa sua risposta per convincermi.
Questa è un'estate particolare e trovare luoghi non battuti dal turismo di massa (anche per questioni di sicurezza) ci ha spinto a fare quello che più amiamo: scovare piccole perle della nostra Italia.
Arriviamo già stremati da un caldo opprimente; il vento ci alita addosso refoli caldi. Il posto è deserto, irreale. Ci guardiamo intorno con le mani poggiate sui fianchi. Mi passo un fazzoletto sulla nuca e poi sulle tempie sudate, marcate dai segni del cappello che mi porto dietro dalla mattina. Ci incamminiamo a passo lento per le strade di questo paesino denso di storia e suggestione. Mi guardo intorno: case di pietra, un vecchio frantoio segnalato da un'insegna di legno e una finestra colorata che sembra messa lì per fare belle foto. Le abitazioni cadono a pezzi; sbircio dentro ma i miei occhi vagano al buio. Crescono cactus sui tetti ed erbacce selvatiche in ogni pertugio. Le porte, fatte di assi malconce e mangiate dal tempo, stanno su per miracolo.
Ma non riusciamo a vedere in tutto questo il degrado, bensì una magnifica decadenza, il fascino dei luoghi dimenticati, il paese che comunque resiste, nonostante tutto.
Proseguiamo arrancando sulle salite; le vie sono sconnesse, bisogna stare attenti dove si mettono i piedi. Nei giorni di pioggia immaginiamo sia anche scivoloso. Guardiamo il cielo azzurro e il sole che si spalma prepotente sui muri scrostati: pioverà mai, qui?
Il silenzio è assordante. Provo a immaginare una qualsivoglia vita, fatta di gente, di chiacchiere, di profumi, di pomodori essiccati fuori dalle case, del rumore del frantoio, di panni stesi al sole. Ne ho un sentore girando un angolo: sento un chiacchiericcio sommesso in una lingua affascinante che non conosco. Dietro una tenda scorgo due anziane, sono intente a piegare quella che a me sembra una tovaglia, forse l'ultimo passaggio di un lungo pranzo. Hanno capelli grigi e abiti a fiorellini scuri. Mi trattengo un secondo di più davanti a quell'uscio scrostato e lo scalino eroso dal tempo, ma loro non mi degnano di uno sguardo, troppo prese nelle loro faccende per curarsi di una turista curiosa. È stato così surreale che ancora oggi mi chiedo se tutto ciò non sia stato altro che frutto della mia immaginazione. Avrei giurato non ci fosse nessuno in questo paesino dimenticato da Dio.
Ma non da noi, che ancora una volta abbiamo scelto la Basilicata per tuffarci nei sapori e nel cuore della nostra bella e preziosa Italia.
- La Rabatana di Tursi - Basilicata

domenica 23 agosto 2020

Cicatrici

Ho le smagliature.
Avevo appena 14 anni quando i miei fianchi si striarono di rosso. Cresciuta troppo in fretta, sentenziò il dottore. Consigliò una crema famosa che prometteva miracoli che costava già molto a quei tempi. Me la spalmavo tutti i giorni e se chiudo gli occhi ricordo ancora l'odore.
Col tempo quei solchi rossi sono diventati un groviglio madreperla, che a seconda di come lo guardi riluccica a ricordarmi che sono segni di crescita. Sarà per quello che non me ne sono mai fatta un cruccio, sono da talmente tanti anni con me che ormai non ci faccio più caso, come quelle ferite che ti fai da bambino: la cicatrice che ti rimane e cresce con te manco la vedi più.
Non ho deciso io, è la mia pelle che è poco elastica, come se non ce la facesse a starmi dietro in questa mia continua bramosia. Le ho sul seno, poco visibili, arrivate durante la gravidanza. Non ne ho sulla pancia, forse 9 mesi sono il tempo che devo prendermi per tutto, dovrei imparare. Le più belle sono lì, in bella vista, in alto, nella parte del mio corpo più forte, più in movimento.Riluccicano al sole, ruvide sotto le dita, stradine che si snodano senza senso sui miei fianchi.
Cicatrici.
E in quanto tali, indelebili.
Come i ricordi.

venerdì 14 agosto 2020

Etichette

Giorni fa, con un'amica, parlavamo di etichette. Quelle che ci vengono cucite addosso, quelle con cui le persone cercano di identificarti.
Io odio le etichette. Mi vanno strette come i paletti. Odio venire collocata in qualcosa, essere una cosa sola. Odio i discorsi 'se sei questo, non puoi essere quest'altro', odio dover far parte necessariamente di un insieme, ci sto stretta.
Amo spaziare, amo essere tante cose.
Sono mamma sono donna sono moglie e sono amante. Ho quasi cinquant'anni e mi vesto come una ragazzina, chignon e treccine, abiti corti e tacchi alti, scarponi e berretto, presiedo a eventi e zappo l'orto. Faccio quello che voglio, quello che mi va. Non riuscirai a rinchiudermi nel recinto della tua giusta moralità. Lo scavalcherò e ti guarderò con aria di sfida. Nel recinto ci si rinchiudono le bestie.
Dico quello che voglio, quello che mi va. Non riuscirai a mettermi il bavaglio. Lo strapperò e parlerò, parlerò ugualmente. Il bavaglio si mette a chi è scomodo, quando ti vien più facile zittirlo con un fazzoletto alla bocca anziché affrontarlo.
Odio sentirmi legata, costretta in qualcosa. Fin da piccola ho odiato gli sci o i pattini a stivaletto. Non potevo toglierli con un gesto, i miei piedi rinchiusi in qualcosa di duro, i movimenti rigidi, i fermi che pressavano le mie caviglie. I giochi da piccola con le corde, se venivo legata davo in escandescenze.
Amo gli spazi aperti e il poter spaziare, fuori e dentro di me. Nella vita, nella scrittura, dove hanno cercato in molti di farmi prendere una strada che sia una, più concreta, più usuale, più facile. Invece io no, scrivo di cosa voglio e di quello che mi va, giallo rosa nero o blu, il colore lo scelgo io. Una storia nasce da quello che voglio io, non da quello che ti aspetti tu da me, dal mercato, dalla moda.
Io sono tante cose e per alcuni sono scomoda; guardano i loro recinti e non sanno collocarmi. Potrei stare lì, ma anche qui, oppure là. In verità il mio posto non è da nessuna parte; posso stare ovunque. Ma soprattutto non sono un uccellino da tenere in gabbia, da imbeccare a tuo piacimento.
Io strillo come un'aquila e volo alto.
E non si tratta di ribellione, si tratta di libertà.

#riflessioni


(ph: unsplash)


giovedì 16 luglio 2020

David Beckham nonno NO



Dear David,
qui is the Simo che ti parla. Quella that for marriage di Harry e Meghan ti ha dedycato alf post da quanto eri fig.
But veniamo a noi. Yesterday I read that your son... coso lì, quello che ha the name come le gomme... ah yes, Brooklyn, si sposa.
Now.
A parte che ha 21 years e voglio di', come cantava Loretta Goggy 'That fretta c'era, maledetta spring'... cioè, is very very young, ha tutta life ahead... mi pare una scelta too fast sulla scia degli hormones.
Detto ciò. Mica mi diventerai grandfather. No, because famo a capissi: we sgallettate we are not pronte. Cioè, levatelo pure dalla head. Noi abbiamo l'image di you with slippino white, roba che le nostre ovary se so' cappottate, hanno fatto il tour of death come le mountain russian. Abbiamo sempre in our eyes yours addominali quadrettati a kinder cereali. The piece of beef come you, non può diventa' grandfather. For pleasure. Let's not joke. Namo su. Che se a little bit vai a prendere the children a school e dicono "Anvedi c'è nonno!" the mothers ti rinchiudono in the school bus e te fanno la festa.
For non parlare poi of your wife... but ce la vedi Victoria grandmother??? Ce la vedi a raccontare the novel tipo Cappuccetto Red, Little Piero and woolf, WhiteSnow and seven nani? Ce la vedi to cook lasagne invece di berries di goji e pinoli? Because è di quello che si nutre, for forza. Che poi diciamocelo, non ha nemmeno the face rassicurante da grandmother, anzi, she always has espressione tipo when non vai di body, you know? Stytyca, si dice così?
Comunque David, you are too the beef da competiscion, the tronco di pine tree, un Marcantony da paura... i nostri hormones hanno sempre bisogno di you. Naked, vestito, whit slip white, in costume, at the sea, in the mountains, insomma, dove te pare e come te pare, but grandfather NO.
Però.
Se dovesse accadere, sappi che I ho very very dimestichezza coi nonnetti, ho un certo feeling, da always. Potrei metterti a bed e rimboccarti le coperte, for esempio. Ecco yes, ti porterei a bed. But lo faccio for you, not for me, sia chiaro.
Quindi appena diventi grandfather chiamami, non te ne pentirai.
A presto 
Simo, la tua nuova badante personale.

lunedì 22 giugno 2020

AUGURI MERYL!



Dear Meryl,
apprendo now that today is you compleanno. You dirai "Now che vuole 'sta sciacquetta?"
Mi presento: I'm the rinco writer, quella che writers alla Royal Family... quella che rimane closed in the bathrooms... quella che vede men nudi at the window... insomma, it's me. Fidate.
Nothing Meryl, only farti many many complimenti for your film. Oh my god quanto ho pianto for the scena of 'The bridges of Madison County', when mannaggia la pupazza you non scendi dal furgone of your husband. I te lo dico: I prayed "Get of! Get of! Maremma pig!" And you nothing, sei rimasta in to sedile whit hand sulla maniglia mentre the tronco of pino di Clint ti aspettava sotto the rain. Why non sei scesa? Ma cosa ti ha detto the head?
Era Clint Eastwood, mica pizza and figs. But io non lo so.
And in Mamma mia? With the salopette of jeans che me parevi l'hydraulic de my mother? But quanto sei stata fantastic? Anche lì altro tris of gnocchi, manco fosse thursday: first su hall quell'arriccia ovaie di Pierce Brosnan. But you pensavi to dance... but for favor...
And in The my Africa? Tra i the lions and the elefants? But c'era pure the manzo, te ne sei accorta? The Robert Redford beautiful come the sun. The biondo che fa impazzire the world, come the nota marca italian bibitina.
A pensarci bene, dear Meryllina, you sei little little fortunella, te li sei ciancicati hall, dal first al last.
But il my preferito rimane The devil wears Prada where asfalti Anna Hathaway dei my boots, with story the maglioncino ceruleo. Minchia che big pippo. Pippone, you understand?
"Oh, but certo, I capito: You pensi that questo non abbia nothing a che vedere with you. You open the armadio and scegli, I don't now, thet maglioncino azzurro infeltrito for example, because vuoi gridare in the world che ti prendi to seriously for curarti di cosa ti metti addosso, but what you don't noow is che quel maglioncino it is not simply azzurro, it is not turchese, it is not lapis, is effettivamente ceruleo, and sei also allegramente inconsapevole del fatto that in 2002 Oscar de la Renta ha realizzato a collection di gonne cerulee and then is stato Yves Saint Laurent I'm not sbaglio a proporre delle jackets military color ceruleo.
And poi the ceruleo is fast fast comparso in the collection of eight diversi stylists. Dopodiché is arrived little by little in the big magazzini and at the end si è infiltrato in qualche tragic corn casual, dove you evidentemente you fished in to basket delle occasioni, tuttavia quell’azzurro rappresenta millions of dollars and innumerevoli posti of work, and siamo at the limit del comico when I think that you sia convinta di aver fatto a choice all delle proposte of fashion quindi, in effetti, indossi a cardigan che è stato selected for you dalle people qui presenti… in mezzo of a pile di roba."
Fantastic my Meryl, lasciatelo di'. Anche se for hall the film you sei simpatic come 'na colonscopy, come 'na anal ragade, come 'na incarnita nail.
But ti perdono. For me rimani la migliore. Ever.
Happy Birthday Meryllina.
With Love
Tua Simona
XXX

martedì 16 giugno 2020

LE PRINCIPESSE DISNEY (secondo me)


BIANCANEVE: non la posso vedere. Vi giuro. Con quel vestitino, i capelli tutti fatti, le sue movenze soavi, anche quando impugna il mocio. Scopa con gli uccelli intorno, gli scoiattoli sul davanzale e 7 uomini in casa. Freud ci sarebbe diventato matto. Cucina e lava per quei 7 nanerottoli cantando giuliva come se tutto ciò fosse divertente. Questa sgobba ed è felice. È moscia, sottomessa, si porta la mano al cuore... ma mettitela al portafoglio e comprati un folletto, dai retta a me. Ingorda di mele, aspetta il principe azzurro che la salvi; probabilmente Giorgio Mastrota con la nuova batteria di pentole col fondo alto 1 cm.
CENERENTOLA: eccone un'altra. Una vita passata tra la cenere e a subire angherie dalle arpie delle sorellastre. La parola 'resilienza' è nata con lei. Le pestano i piedi e lei chiede scusa, la trattano demmerda e lei serve loro la colazione a letto senza nemmeno un pochino di Guttalax, la fanno sentire brutta, inetta e fuori luogo e lei non fa una piega laddove noi avremmo preso a sprangate il ciuffo cotonato di Genoveffa. Cenerentola è un cattivissimo esempio di sottomissione. Anche lei per uscire da 'sta vita grama, aspetta il principe azzurro. Lui arriva con un paio di scarpe nuove e lei lì non capisce più nulla. Cenerentola è Anne Hathaway 'Dammi una gonna di tulle, un paio di Chanel e sono perdutamente tua'.
ARIEL: Ariel è una tronista di Uomini e Donne: pur di uscire in esterna col figo di turno, rinuncia a tutto, pure alla voce. Ariel è una bella statuina, il massimo per l'uomo gretto e maschilista: la tengo perché è figa, ma soprattutto muta. La sua, una storia già vista: si sacrifica per l'uomo che ama perdendo voce e dignità, poi alla fine arriva un'altra (alla quale ha donato lei stessa in tempi non sospetti) che con un incantesimo lo ipnotizza fino a sposarselo. Anche qui vuoi che Eric non sia un principe (figo) con un castello sul mare? Sai che esterne in quella terrazza. E Tina Cipollari muta.
AURORA: Questa dorme, io ve lo dico. Ed è anche rintronata forte. Anni e anni a dirle 'Guarda, fammi un piacere, non ti avvicinare a un arcolaio che me mori' e lei che fa appena uscita dalla casetta? Trova un arcolaio e dice 'Toh! Ma tocchiamolo un po'!' Allora sei scema, ma abbi pazienza. Vissuta nel bosco con tre zitelle, anche lei aspetta il principe azzurro che deve rompere l'incantesimo e poi come Biancaneve insegna "Auroretta bella, te devi sdraia' sul letto e aspetta' che il principe te baci, sperando che non abbia mangiato la zuppa de cipolle e vivrete felici e contenti." Comunque lei quindici anni di quarantena e manco un capello fuori posto, magra e bellissima; noi dopo due mesi la ricrescita, sette chili e i peli che manco le mangrovie. Aurore', mo te ce mando.
YASMINE: Yasmine è una che ti controlla i messaggi su WhatsApp. È una che al tuo 'Ti fidi di me?' ti risponde 'Colcazzo!' e non sale sul tuo tappeto volante in modo ingenuo come avrebbero fatto quell'altre. Questa come animale domestico non ha un gatto, un canarino o un chihuahua; questa ha una tigre del Bengala. Questa se je gira il cazzo te fa a brandelli le mutande. Diffidente di natura se gli dici che sei Alì il Principe Ababua, lei ti guarda sospettosa bofonchiando "A me pari un morto de fame..."
Yasmine è una donna indipendente: ha già un regno, è già ricca e non le serve certo un principe su un elefante per essere felice. In realtà lei puntava al genio, ma come tutti gli uomini alla frase 'Avrei tre desideri...' Puff! Sparito!
BELLE: Qua poche chiacchiere, Belle è acculturata. Belle è la classica donna che, in fatto di uomini, guarda la sostanza. Piuttosto lo prende brutto, ma intelligente. Belle è una che prenderebbe a sassate i tronisti, ma si innamorerebbe di Angela. Piero Angela. Belle è una grammarnazi, potrebbe fare l'editor di professione o frequentare salotti letterari: puntigliosa, precisina e cagacazzi, probabilmente è nata ad agosto, ed è della Vergine. Se la vuoi conquistare puoi anche puzzare come una fogna di Calcutta, ma se citi Proust o Schopenhauer, è tua. La porti a casa che è una meraviglia, anche senza baguette.
RAPUNZEL: Una delle mie preferite. Grossi problemi a gestire i capelli, ma brandisce padelle come Uma Thurman brandisce la scimitarra. Inizialmente pare furba: 'uso un uomo per uscire dalla mia prigionia', ma poi come tutte noi ci si innamora. Non posso biasimarla: Eugene è il mio personaggio maschile preferito Disney; figo, ironico, paziente, scapestrato e per niente incline alla calzamaglia azzurra 70 denari. Lei, una volta uscita dalla torre, si pente. Poi è felice. Poi è triste. Poi è euforica. Poi è addolorata. Poi allegra. Il tutto nel giro di dieci minuti. Rapunzel è una di noi: in perenne lotta con la chioma e simpaticamente bipolare come noi in fase premestruale.
Alla fine si taglia i capelli e lui manco se ne accorge.
Storia già vista.
ELSA: Riassunto: Simpatica come una cistite, sculetta come Belen. Elsa grida al mondo 'Io so' io e voi non siete un cazzo.' Algida, fredda e severa, si atteggia a primadonna manco ce l'avesse solo lei. Scaglia lame di ghiaccio a chiunque le si avvicini con la frase paracula 'Ma non sei tu, sono io. Lo faccio per proteggerti' quando in realtà pensa "Non sei alla mia altezza, ne devi mangiare di cereali cara mia." Ha avuto un'infanzia difficile, isolata dagli amichetti dell'asilo ai quali lanciava anatemi e fiocchi di neve. Ripudia la sorella con una scusa, ma in realtà le stava sui coglioni con quel petulante 'Giochiamo? Giochiamo? Eh? Giochiamo?' Poi ce credo che scappi de casa.
ANNA: Si sveglia la mattina tipo noi: con la bava e i capelli a sminchio. Pensa di essere innamorata di uno, non capendo che in realtà è uno stronzo. Pensa che sua sorella la odi, non capendo che in realtà la sta proteggendo. Pensa che un venditore di ghiaccio voglia aiutarla, non capendo che tutto è finalizzato a fargli assaggiare il suo polaretto. Insomma, non è che Anna sia molto sveglia. Ah sì, pensa che Olaf sia un pupazzo di neve che parla, non capendo che probabilmente è la roba bianca che sniffa con la pergamena arrotolata.
MERIDA: e qui chiudo in bellezza. La mia preferita in assoluto. Merida non ha bisogno di principi, a lei proprio fottesega. Su' madre gliene vuole appioppare tre e lei, imbracciando un arco, risponde 'Se mi devo sposare, allora sposo me stessa!' e centra il bersaglio che manco un cecchino. Coraggiosa, impavida, perennemente controcorrente. Porta avanti le sue idee, non si piega alle regole di famiglia, cavalca il cavallo a rotta de collo e non oscilla nemmeno un pochetto. Capelli in autogestione e si strappa le vesti bofonchiando imprecazioni come noi a fine serata quando ci togliamo il reggiseno o il tacco 12.
Non cede nemmeno davanti a tre pretendenti venuti per conoscerla; li guarda annoiata e pensa 'E io dovrei confondermi con questi qui? Piuttosto me la metto sotto sale.' Merida è così: una donna realizzata che non ha bisogno di principi azzurri per risolvere la sua vita. Siate impavide. Siate Merida.
Poi vabbè, cerca di fa' fori su' madre, ma sono dettagli.

giovedì 11 giugno 2020

Happy Birthday Filippo!



Dear Fily,
abbi patience but yesterday ero impicciata and manco t'ho augurato happy birthd...
Come "But chi dick sei?"
Now mi offendo, Fily. I'm Simona, the rinco writer... quella che ve scrive love letters, un day yes and un day pure. L'highlander de tu' wife me conosce. Chiedi alla Betty.
Comunque.
You did well a fatte vede', because qui te davano già for dead da mo'. Yes, toccati le balls, nsi sa never.
Anche se in the foto with Betty, eri rilassato come a nordic fish, you hai presente stoccafisso? Uguale.
Però now sappiamo che sei alive and vegeto e che sei scampato pure to the pandemic, che voglio di', mica da everyone. Eh.
Ti ho visto in form Filippe', con le hands behind the schiena come the italian old man in front of cantiere e the dark giacca impeccabile con più bottons de 'na merceria.
Cosa ti hanno cooked a corte, yesterday? Chicken soup with little stars? Magari with little cheese MY strutto inside? Purè of potatoes? Because voglio di', I do not think that the digestione sia più quella di one time.
And poi che hai fatto? Because tu' wife, a 94 years suonati, tutta beautiful baldanzosa ha detto "Op!" and with a little jump is montata en groppa on the horse de corte. You invece? On the pony? Mica the round in the car, eh? Che the last time te sei cappottato in the english countryside in mezzo alle sheep.
Nun me fa preoccupa' Fily. Statte buono, for cortesy. Vogliamo ancora to look your face impassibile for many years.
I'm happy che, a dispetto delle voice, you sia viv... no, aspe' così pare brutto... te dicevo: I'm happy che you sia again tra di noi, ho tirato un sospiro di sollievo when ti ho visto, pensavo fossi dea... no aspe'...
Insomma Fily, statte buono but fatte vede' più spesso che qua mi go up L'ANSIA, ok?
Again Happy Birtday, Fily, and sorry for the ritardo, but yesterday me dovevo depila' che c'avevo i peli long long come a bear marsicano. You know bear marsicano?
With Love
XXX
Simona (the rinco writer)

mercoledì 10 giugno 2020

Alfredino Rampi



Se digitate il nome 'Alfredino' su Google, le prime voci che vi appaiono sono quelle riguardanti Alfredo Rampi. Di Alfredino ce n'è uno solo, nella storia italiana.
Io avevo appena 8 anni e ricordo tutto come se fosse ieri. Seguivamo la vicenda da casa di nonna, tutti insieme. Una diretta infinita, angosciante, senza pause.
La televisione piazzata sulla parete scrostata della cucina, vicino al grande camino, guai passarci davanti, guai fiatare. Ricordo che eravamo in tanti, siamo sempre stati una famiglia che si riuniva nel bene e nel male; la vicenda di Alfredino non faceva eccezione. Ricordo mia nonna trafficare sempre con lo straccio in mano e un occhio alla tv, la mia mamma che non si dava pace, il mio babbo e il mio nonno cercare di capire come fare a tirarlo fuori, nemmeno fossero sul posto e potessero sentirli.
E poi immobili, in religioso silenzio, il ronzio del frigo che fungeva a colonna sonora e la frase "È arrivato il Presidente."
Mia mamma disse "Se c'è Pertini è una cosa grossa".
Giorno e notte, notte e giorno. L'afa fuori di un anno in cui i mesi facevano ancora il loro lavoro. Le persiane abbassate, la moka che borbottava sul fuoco, mani che prendevano tazzine senza staccare gli occhi dalla tv.
Aleggiavano nell'aria tensione, paura e sgomento. Non avevo mai visto tutta la mia famiglia così. Mia mamma stringeva al petto mio fratello, piccolino allora, a me non veniva risparmiata questa tortura. Non mi veniva spiegato nulla, era tutto lì, in quelle immagini piene di gente intorno al pozzo. Tutto mi arrivava dalle parole e dagli sguardi della mia famiglia, non venivo rassicurata, non mi veniva risparmiata l'angoscia. Non c'era tempo, non c'era modo di spiegare una tragedia del genere a una bambina quasi dell'età di Alfredino. Me la fecero vivere e basta, con i miei strumenti.
Ricordo la rabbia di mia madre quando dei giornalisti puntarono gli occhi sulla madre di Alfredino rèa di cambiarsi d'abito, di non essere 'abbastanza' provata, disperata. Colpevole di troppa freddezza. Come puoi pensare di cambiarti d'abito quando hai un figlio in un pozzo? Erano queste le voci e i titoli che riempivano alcuni giornali e mia madre non ci stava. Allora non capivo. Adesso sì, sono passati 39 anni, ma questo tipo di pregiudizio esiste ancora. Non è cambiato niente.
Per tre lunghi e infiniti giorni non si parlò d'altro: Alfredino era nelle nostre case. Con la sua flebile vocina, il suo 'Mamma voglio la pizza...', i suoi rantoli.
Il fiato sospeso per ogni tentativo di salvataggio, mentre il frigo ronzava più forte, la disperazione e il senso di colpa di chi tornava su a mani vuote.
Ci abbiamo creduto. Tanto. Abbiamo pregato per quel bambino con la canottiera a righe. Alfredino, per tre giorni e forse di più, è stato il fratello e figlio di tutti. Una tragedia seguita dall'Italia intera, un reality show agghiacciante e spaventoso, da togliere il fiato.
Io ricordo tutto, come se fosse ieri.
Ricordo anche nonno che, appresa la notizia, imprecando andò in fondo all'orto. Poi chiamò mio padre.
Due giorni dopo, sul pozzo che fino ad allora era stato coperto da un tappo di legno, era stato saldato un pesante e inaccessibile coperchio di ferro.

martedì 21 aprile 2020

GOD SAVE THE QUEEN

Dear Betty,
mo' you ti domanderai "And chi dick is questa?"
Question lecita, but look, I have scritto a all your family: la spara children alias patonza reale, Rosso Malpelo and gnoccolona emmerigana... e vuoi che don't scriva a you for your compleanno?
Daje su.
Che poi don't riesco with my immagination how passi the day in questa quarantena.
Dimme, Betti', che fai tutto il day? Walking in the garden coi corgi? Watch la tv? Ricami a point and cross? Cooking come noattri il bread come se don't ci fosse un tomorrow? A proposito: you la trovi la flour? Because here manco a mori'. For non parlare del lievito. Quindi se non cooking the pizza, che fai? I jumps in bocca alla romana? L'abbacchio allo scottafinger? Beans co' e cotiche?
Beacuse io so' curious, mi garberebbe sape' cosa fa the Queen in Quarantine. Mo' listen come suona bene.
And Prince Filippo how is he? But sai that in Italy al tg dicevano che gli era preso un big schioppone? E che lo tenevi nascosto in the tower pe' non faccelo sape'? Lo davano for dead poraccio. Mi confermi che he is alive and vegeto?
Mi scuserai se I'm not fatta viva when Carlo si è preso il virus, but credimi, I do not like scherzare su 'ste cose, spero you non ti sia offesa. Come vedi, la Simo tua, 'ti pensa tanto tanto intensamente, con il cuore e con la mente' come cantava coso, lì, Julio Iglesias, in 'think about me'.
E nothing, Betti', sono solo 94 years (me cojoni!) e ci tenevo much much ad augurarti un Happy Birthday coi controdick, alla my maniera. Sminchiatella, diciamo.
Stamme bene, Betti', 100 of that day, che tanto me sa che anche se non te lo auguro, you ci arrivi uguale, vecchia fox che don't sei altro.
Happy Birthday, Queen of my heart 
Your friend,
Simona

giovedì 9 aprile 2020

UN PO' DI ME

Sono Simona, ho 47 anni anche se a volte me ne sento 10.
Ho la testa tra le nuvole e i piedi per terra. Nel mezzo un cuore affollato, una pancia che sente e delle gambe forti che non sfrutto visto che non sono mai scappata dalle situazioni.
Dormo poco, sogno molto.
Mi piace il mare d'estate, anche se mi fa un po' paura. Per apprezzarlo d'inverno mi ci è voluto del tempo, ho fatto pace con alcune cose.
Amo i boschi, il loro profumo e il loro parlare. C'è sempre qualcosa di inatteso in essi, qualcosa che non vedi ma puoi solo percepire. Diventerei amica dei lupi, tirando fuori quel lato selvaggio che pochi conoscono.
Scrivo tutti i giorni, soprattutto nella mia testa. Infinità di parole che spesso si imprimono in un foglio, a volte stanno lì, in attesa di tempi migliori. Lo faccio di getto, sgorgano fuori come zampilli di una fontana. Qualcuno si lascia bagnare, altri si riparano con un ombrello.
Amo i frutti estivi anche se al cocomero preferisco il melone, il suo gusto e l'assenza di semini me lo fa apprezzare di più. Vivo di fretta e concretezza anche a tavola.
Non mangio pesce che contiene lische, mi fanno perdere tempo, devo pensare a scansarle, non ho tempo, non ho voglia.
Adoro il profumo dell'olio solare sulla pelle e la salsedine sulle labbra. Uso raramente il rossetto, bacio troppo, mi è di impiccio.
Il mio colore preferito è l'azzurro, dicono che sia il colore dei sognatori. Può essere.
Amo i bambini, follemente, interagendo con loro ritrovo la mia fanciullezza. Amo l'ingenuità e il bello che sanno cogliere in qualsiasi frangente, la fantasia galoppante, le lacrime giustificate.
Amo gli anziani, interagendo con loro forse troverò la mia vecchiaia. Quella che sarà. Amo la loro ingenuità davanti al moderno e il bello che sanno cogliere quando sanno di non avere più tempo. La nostalgia galoppante, le lacrime asciugate.
Non mi piace la mia voce, è brutta, acuta e nasale. Spesso, tra la folla, vengo riconosciuta solo per quello. Mi ci prendono tutti in giro e io rido con loro. Riesco a ridere dei miei difetti. Tanti. Troppi. Quindi rido tanto. Troppo. Di me stessa, di tutte le mie mancanze.
Mi piace il legno, l'odore della resina, la ruvidità di una corteccia. Il suo calore.
Seziono gli insetti che trovo morti in giardino, forse dove sono arrivati i miei gatti prima che potessi liberarli. Li studio da vicino, gli occhietti di un'ape, la carcassa di una cavalletta, le zampette di una mantide. Li guardo e li esamino con gli occhi curiosi e macabri di un bambino. La natura è mondo affascinante.
Ho le mani rugose, dimostrano 80 anni. Le ho sempre curate poco, ma hanno sempre gesticolato e lavorato molto.
Non riesco a tenere a bada i capelli, sono indisciplinati, come me. Mi ricordano in ogni momento che loro sono nati così e non ci si può accanire più di tanto. Se nasci riccio non puoi morire liscio. I capelli sono saggi. Parlano di noi e per noi. I capelli bianchi saranno una dozzina, sembra vogliano dirmi che sono giovane, ma fanno come gli pare, sembra vogliano dirmi 'Facciamo di testa nostra, come te.'
Sono ariete, ascendente leone. Dei due segni ho solo i difetti, i pregi li lascio a chi crede nell'oroscopo.
Amo grattare la teglia delle pietanze passate al forno, là dove è tutto bruciacchiato, duro, rinsecchito. Mi ci accanisco con avidità, sono brava a grattare il fondo del barile. Lo pulisco per poi usarlo di nuovo, via tutto e si ricomincia. Devo vedere la fine per cominciare a creare il nuovo.
Mi piacciono le persone e mi piace ballare, di tutto. Mi muovo male ma non me ne curo, sono una persona fisica.
Abbraccio tanto, mi piace sentire il calore, il profumo di una persona, lo accosto spesso a ciò che conosco. Qualcuno sa di miele, altri di gelsomino, altri ancora di muschio. Mia nonna sapeva di biscotto. Non ho più sentito un biscotto così.
Amo la pioggia che batte sul tettuccio della macchina tic tic tic, l'attimo fermo che precede un bacio e il guardarsi negli occhi senza dire una parola.
Ne dico e scrivo già troppe, a volte.


mercoledì 18 marzo 2020

E POI VENNE IL GIORNO

Il momento peggiore è la sera.
E poi la notte.
Dopo pomeriggi sfacciati, con un sole prepotente che non possiamo godere, arriva il momento peggiore. I pensieri si incagliano prima che riusciamo chiudere gli occhi, ci rigiriamo nel letto; un sonno agitato, sogni brutti, alle cinque già svegli a fissare la finestra e domandarci se oggi ci sarà il sole. La luce ci aiuta a vedere la situazione con la distanza giusta, con positività, come se tutto quel chiarore ci aiutasse a fare luce sulla faccenda. Una giornata di sole è bella fuori e bella dentro, ci aiuta un po' a passare le giornate tutte uguali alle quali ci arrendiamo.
Non riusciamo a lavorare da casa con la giusta concentrazione, a leggere, a scrivere, a giocare coi nostri figli con la spensieratezza di sempre, a porre l'attenzione su qualsiasi cosa che non siano automatismi: colazione, apri le finestre, fai i letti, ragazzi studiate, facciamo un gioco? cucina a pranzo, a cena, cucina sempre, tieni impegnate quelle mani per non impazzire, riordina la cucina, pulisci il bagno, ritira i panni. Così, da giorni, ma il pensiero è sempre lì. Ai tuoi figli, ai tuoi genitori, al tuo partner comunque al lavoro, all'amica, a chi hai visto l'ultima volta. E sì, hai contato pure i giorni da quel giorno, non si sa mai.
Le telefonate ai tuoi cari sono sempre le stesse. "Che fai?" "Sto a casa" "Bene" Sempre soliti discorsi, si casca lì, non se ne esce. E poi devi uscire per la spesa, ci sono file ovunque, guanti, mascherine, scene apocalittiche, abbiamo smesso di scherzarci da un pezzo, da quando la situazione si è fatta seria, ma ci guardiamo tutti male, ogni persona che incontriamo, ogni paio d'occhi sopra quella mascherina potrebbe essere il nemico.
Tornati a casa ci spogliamo, ci disinfettiamo, quello non lo toccare, quello nemmeno, aspetta che lo pulisco, facciamo tutto quello che c'è da fare pur sapendo che è una roulette russa, se dice di toccarti ti tocca, anche con tutte le precauzioni. Allora preghi, pure te che non lo fai mai, lo fai per i tuoi figli, per tuo marito, per tua moglie, per i tuoi genitori e per tutti quelli che sono là fuori, nonostante tutto. In quel momento ti ridimensioni, ti senti pure un po' stronzo a lamentarti di queste giornate tutte uguali, con la tua piccola e sciocca paura, quando loro sono lì, a lavorare per permetterti di mangiare, di curarti, di proteggerti. Sono lì, in trincea, a toccare con mano, a veder la gente morire. Loro sì che hanno paura, quella vera, quella che ti toglie il respiro, che marchia a fuoco il volto, che lascia i segni sul cuore e nell'anima. Ma tutti ne usciremo segnati, anche chi dice che non ha paura. Non credetegli. Tutti ce l'hanno. Anche chi ride, chi sbeffeggia, chi ironizza... in fondo è una difesa pure quella. Com'è che si dice? Rido per non piangere. Forse è così. Ma non riusciamo nemmeno a fare quello, sarebbe un pianto asciutto, secco, di quei pianti isterici e non liberatori. Riusciamo a farlo solo per commozione, con le poche belle notizie: un bambino che nasce in questi giorni, un parente guarito, i flash mob sui terrazzi, per le parole di un medico che cerca di tranquillizzarci. Per un inno d'Italia cantato a una finestra.
Il momento peggiore è la sera.
E poi la notte.
Ma, come questo periodo, passerà. Non durerà per sempre.
E risplenderà il sole su un nuovo giorno.


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