mercoledì 26 agosto 2020

Dear Sean Connery...

 



Dear Sean,
o preferisci Sir?
Sono Simo, you non mi conosci but te posso assicura' che la friend tua, la Betty, sa chi sono. Call her, ti spiegherà.
I'm sorry se ti auguro Happy Birthday the day after, but yesterday quando ho appreso the news ero in the car e you sai che to drive a me riesce bene quanto a te non essere un big actor, quindi I can not distrarmi per non piantarmi in a tree.
Anyway.
Avrei for you a question: but come ci si sente a compiere 90 years ed essere comunque un arrovella hormones for noi women?
Because qui te bomberebbero all, a partire da grandmother Abelarda, alla aunt Peppina, passando da quelle più young.
And poi, for dirla tutta, you sei come the wine, più invecchi, più sei bono (old frase di una banality imbarazzante, but questa c'ho)
My mother for you se strapperebbe la filanca delle big slip e la pancera del doctor Gibaud. Ha già avvertito my father: "Se Sean Connery mi chiedesse di scappare with him, not ci penserei two volte!"
My father la guarda and scuote the head "But chi te se piglia!"
Infatti my mother is sempre lì.
Questo for dirti that sei stato in my house da always, fin dai tempi di zerozeroseven, quando you avevi quelle orecchie little little Dumbo style, but eri comunque un bel piece of gnocco, eh? But with qualche years in più, acquisti charm, beauty, quel certo non so che... da tronysta geriatric. Il David Gandy delle grandmother, il bronze di Riace delle ottuagenarie, il Can Yaman delle old ladies.
Roba che se trasmettono a your film in the ospizio, le trovano a fare the lap dance aggrappate al deambulatore.
E nothing... tutto qui.
Spero you voglia accettare my auguri in ritardo, my favourite scottish. Fai conto che sia your nipote, ok?
With Love
Simona
p.s. one cosa: siccome I'm not tua nipote, se me volessi invita' a dinner, magari a lume of candle, io ce sto.
Così.
For dire.

lunedì 24 agosto 2020

La Rabatana di Tursi




"E com'è la Rabatana di Tursi?"
"Tipo Craco."
È bastata questa sua risposta per convincermi.
Questa è un'estate particolare e trovare luoghi non battuti dal turismo di massa (anche per questioni di sicurezza) ci ha spinto a fare quello che più amiamo: scovare piccole perle della nostra Italia.
Arriviamo già stremati da un caldo opprimente; il vento ci alita addosso refoli caldi. Il posto è deserto, irreale. Ci guardiamo intorno con le mani poggiate sui fianchi. Mi passo un fazzoletto sulla nuca e poi sulle tempie sudate, marcate dai segni del cappello che mi porto dietro dalla mattina. Ci incamminiamo a passo lento per le strade di questo paesino denso di storia e suggestione. Mi guardo intorno: case di pietra, un vecchio frantoio segnalato da un'insegna di legno e una finestra colorata che sembra messa lì per fare belle foto. Le abitazioni cadono a pezzi; sbircio dentro ma i miei occhi vagano al buio. Crescono cactus sui tetti ed erbacce selvatiche in ogni pertugio. Le porte, fatte di assi malconce e mangiate dal tempo, stanno su per miracolo.
Ma non riusciamo a vedere in tutto questo il degrado, bensì una magnifica decadenza, il fascino dei luoghi dimenticati, il paese che comunque resiste, nonostante tutto.
Proseguiamo arrancando sulle salite; le vie sono sconnesse, bisogna stare attenti dove si mettono i piedi. Nei giorni di pioggia immaginiamo sia anche scivoloso. Guardiamo il cielo azzurro e il sole che si spalma prepotente sui muri scrostati: pioverà mai, qui?
Il silenzio è assordante. Provo a immaginare una qualsivoglia vita, fatta di gente, di chiacchiere, di profumi, di pomodori essiccati fuori dalle case, del rumore del frantoio, di panni stesi al sole. Ne ho un sentore girando un angolo: sento un chiacchiericcio sommesso in una lingua affascinante che non conosco. Dietro una tenda scorgo due anziane, sono intente a piegare quella che a me sembra una tovaglia, forse l'ultimo passaggio di un lungo pranzo. Hanno capelli grigi e abiti a fiorellini scuri. Mi trattengo un secondo di più davanti a quell'uscio scrostato e lo scalino eroso dal tempo, ma loro non mi degnano di uno sguardo, troppo prese nelle loro faccende per curarsi di una turista curiosa. È stato così surreale che ancora oggi mi chiedo se tutto ciò non sia stato altro che frutto della mia immaginazione. Avrei giurato non ci fosse nessuno in questo paesino dimenticato da Dio.
Ma non da noi, che ancora una volta abbiamo scelto la Basilicata per tuffarci nei sapori e nel cuore della nostra bella e preziosa Italia.
- La Rabatana di Tursi - Basilicata

domenica 23 agosto 2020

Cicatrici

Ho le smagliature.
Avevo appena 14 anni quando i miei fianchi si striarono di rosso. Cresciuta troppo in fretta, sentenziò il dottore. Consigliò una crema famosa che prometteva miracoli che costava già molto a quei tempi. Me la spalmavo tutti i giorni e se chiudo gli occhi ricordo ancora l'odore.
Col tempo quei solchi rossi sono diventati un groviglio madreperla, che a seconda di come lo guardi riluccica a ricordarmi che sono segni di crescita. Sarà per quello che non me ne sono mai fatta un cruccio, sono da talmente tanti anni con me che ormai non ci faccio più caso, come quelle ferite che ti fai da bambino: la cicatrice che ti rimane e cresce con te manco la vedi più.
Non ho deciso io, è la mia pelle che è poco elastica, come se non ce la facesse a starmi dietro in questa mia continua bramosia. Le ho sul seno, poco visibili, arrivate durante la gravidanza. Non ne ho sulla pancia, forse 9 mesi sono il tempo che devo prendermi per tutto, dovrei imparare. Le più belle sono lì, in bella vista, in alto, nella parte del mio corpo più forte, più in movimento.Riluccicano al sole, ruvide sotto le dita, stradine che si snodano senza senso sui miei fianchi.
Cicatrici.
E in quanto tali, indelebili.
Come i ricordi.

venerdì 14 agosto 2020

Etichette

Giorni fa, con un'amica, parlavamo di etichette. Quelle che ci vengono cucite addosso, quelle con cui le persone cercano di identificarti.
Io odio le etichette. Mi vanno strette come i paletti. Odio venire collocata in qualcosa, essere una cosa sola. Odio i discorsi 'se sei questo, non puoi essere quest'altro', odio dover far parte necessariamente di un insieme, ci sto stretta.
Amo spaziare, amo essere tante cose.
Sono mamma sono donna sono moglie e sono amante. Ho quasi cinquant'anni e mi vesto come una ragazzina, chignon e treccine, abiti corti e tacchi alti, scarponi e berretto, presiedo a eventi e zappo l'orto. Faccio quello che voglio, quello che mi va. Non riuscirai a rinchiudermi nel recinto della tua giusta moralità. Lo scavalcherò e ti guarderò con aria di sfida. Nel recinto ci si rinchiudono le bestie.
Dico quello che voglio, quello che mi va. Non riuscirai a mettermi il bavaglio. Lo strapperò e parlerò, parlerò ugualmente. Il bavaglio si mette a chi è scomodo, quando ti vien più facile zittirlo con un fazzoletto alla bocca anziché affrontarlo.
Odio sentirmi legata, costretta in qualcosa. Fin da piccola ho odiato gli sci o i pattini a stivaletto. Non potevo toglierli con un gesto, i miei piedi rinchiusi in qualcosa di duro, i movimenti rigidi, i fermi che pressavano le mie caviglie. I giochi da piccola con le corde, se venivo legata davo in escandescenze.
Amo gli spazi aperti e il poter spaziare, fuori e dentro di me. Nella vita, nella scrittura, dove hanno cercato in molti di farmi prendere una strada che sia una, più concreta, più usuale, più facile. Invece io no, scrivo di cosa voglio e di quello che mi va, giallo rosa nero o blu, il colore lo scelgo io. Una storia nasce da quello che voglio io, non da quello che ti aspetti tu da me, dal mercato, dalla moda.
Io sono tante cose e per alcuni sono scomoda; guardano i loro recinti e non sanno collocarmi. Potrei stare lì, ma anche qui, oppure là. In verità il mio posto non è da nessuna parte; posso stare ovunque. Ma soprattutto non sono un uccellino da tenere in gabbia, da imbeccare a tuo piacimento.
Io strillo come un'aquila e volo alto.
E non si tratta di ribellione, si tratta di libertà.

#riflessioni


(ph: unsplash)


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