martedì 22 marzo 2016

Tutta colpa di Patrick Dempsey

                                                                     (foto: http://yellnews.it/)


All'inizio era George Clooney, anzi no, a sentire mi'madre all'inizio era Richard Chamberlain ne Il dottor Kildare. Poi ci sono stati pure Quincy, dottor House e, negli ultimi tempi, quel gran tronco di pino di Patrick Dempsey (e prima, dopo e durante un'infinità di serie mediche più o meno credibili. Basti pensare a Un medico in famiglia, che di medico ha solo un cerotto, quello che viene messo sul ginocchio sbucciato di Annuccia nella seconda serie)
Parlo di medici nelle serie televisive, ovvio.
Non so voi, care le mie donnine all'ascolto, ma io subisco il fascino del camice bianco. Non ai livelli di una delle mie due nonne, che non si perdeva una puntata di General Hospital e si leggeva pure gli Harmony serie Bianca, perché per lei la figura del medico era l'unica che doveva campa'. Se facevi l'impiegato alle poste potevi anche mori', ma se facevi il medico, santamadonninaaddolorata per lei eri il genio assoluto, il salvatore e in alcuni casi il Creatore. Infatti la mi'nonna sceglieva il medico in base all'avvenenza. Se era bravo ma cesso, manco un'unghia incarnita gli faceva vede', ma se era un inetto ma figo era capace di vederla nello studio un giorno sì e uno pure solo per dirgli buongiorno.
Insomma, sarà che ci hanno propinato tante serie e tanti Pronto Soccorso, ma il medico sia nella fiction che nella realtà, ha il suo perché (a parte la mi'nonna che ci vedeva anche i percome)
Negli anni ho sviluppato talmente tante fantasie che ho del materiale valido per scriverci altri venti romanzi o altrettante sceneggiature, tipo che mi son vista almeno una decina di volte nei panni dell'assistente che il medico figo o si sbatte sulla lettiga o ci flirta dall'inizio alla fine e poi all'ultimo le chiede di sposarla. Perché oltre a vederli, il film me li faccio. Tutta colpa di Patrick Dempsey, è chiaro.
Per esempio adoro vedere lo sguardo d'intesa che si lanciano la dottoressa (spesso gnocca ma mai quanto lui) e il dottore figo all'arrivo di un moribondo al Pronto Soccorso. Il “Cosa abbiamo qui?” si trasforma in frasi sincopate, sguardi compiaciuti di chi sa fare il proprio mestiere e occhiate allusive della serie “Ora abbiamo un'emergenza ma se ti fai trovare in astanteria tra un'ora, ti faccio le lastre e anche una colonscopia personale”
A volte invece capita di immedesimarsi nel parente del moribondo. Magari l'amica, la sorella o se il povero disgraziato è minorenne, sua madre. Lui arriva, dopo un intervento durato 56 ore ed è fresco come una rosa (manco una macchiolina di sangue e te ti chiedi, 'Perché io riesco a farmi patacche grosse come taralli solo per aver mangiato tre cucchiai di Coppa del Nonno e questo ha tipo squartato un vitello e sembra la pubblicità del detersivo?') Comunque lei si alza dalla seggiolina e si avvicina stringendo al petto una sciarpa se è un'amica, a braccetto di sua madre se è la sorella, o con in grembo un orsacchiotto se è la madre, e lo guarda con occhi carichi di speranza. Il medico figo, prima di abbassare la mascherina, la penetra con lo sguardo. In questo momento che tu sia in età fertile o in menopausa, lui, con il solo sguardo, ti mette incinta. Il regista lo sa e infatti nei titoli di testa raccomanda la pillola. Comunque sia, lui ce l'ha fatta. Lui ha risolto tutto semplicemente usando le pinzettine come l'Allegro Chirurgo e ti aspetti che dica “Sì, mi ha suonato un paio di volte perché l'osso del desiderio mi entrava storto, ma tutto a posto. Può vederlo.” A questo punto se ti immedesimi nella madre giovane, piacente, con un ex marito alcolizzato, che lavora in una tavola calda e nata ai bordi di periferia come Eros Ramazzotti, ti innamori all'istante. Lui, il figo, ti ha salvato il figlio/la figlia/il criceto non ha importanza e tu oltre essergli riconoscente a vita hai già pronti i documenti per il matrimonio nella piccola cappella dell'ospedale.
Se invece ti immedesimi nella collega gnocca che è una single convinta e abita (prendete fiato) in un attico con una cucina moderna e quando finisce il turno si siede sul divano con un bicchiere di vino rosso italiano a volte accarezzando un gatto altre volte non c'ha manco un canarino e comunque allunga i piedi sul tavolino da fumo e sorseggia soddisfatta pensando alla sua vita fatta di lavoro e stetofonendoscopio, (tirate il fiato) la scena più o meno è questa:
“Sei stato in gamba.” dice lei a lui mentre si tolgono i guanti facendo finta di non ricordare gli sguardi carichi di tensione e pathos che si sono scambiati da sopra le mascherine mentre lui gli chiedeva a random “Bisturi.” “Forbici.” “Pressione?”.
Lui si toglie con gesti stanchi ma sicuri la cuffietta e si appoggia al lavandino con quell'aria dannata e stropicciata che fa imbizzarrire le nostre ovaie (le quali stanno facendo  la ola ).
Lei, in un impeto di coraggio, gli carezza le spalle.
“Gli hai salvato la vita, John” (tanto un John c'è sempre e 'gli hai salvato la vita' è la frase chiave in ogni serie medica. Nelle sceneggiature ce ne sono in dotazione una dozzina e vengono cosparse un po' sui copioni come il pepe sulla pasta. Dà il giusto pizzico e non fa mai male, ecco)
A quel punto il medico figo è stanco ma si sente un eroe, un invincibile e quindi vulnerabile. Forse è la volta buona che prende la collega single e la spalma sulla lettiga o la incastra tra il dispenser del sapone e il mobiletto dei guanti per chiudere la serata in bellezza. E questo è il punto che noi aspettiamo dalla prima puntata e invece siamo alla quarantaseiesima e questi due non vanno oltre il saluto scorbutico, una toccatina sul braccio, una manciata di sguardi, i battibecchi allusivi e i dispettucci da prima elementare.
Ma ci siamo. Forse stasera ci siamo. John ha appena salvato il piccolo Chris (c'è sempre un piccolo Chris), la collega figa è predisposta, tutto è andato liscio. Lui si avvicina e capisce in quel momento che se ce l'ha fatta a salvare quella vita umana è grazie a lei, al suo appoggio, perché in fondo la ama e sogna di strapparle la filanca delle mutande dalla prima volta che l'ha vista in sala operatoria.
Lei non muove un passo, ma sa che è arrivato il momento. Pochi istanti fa, vedendolo salvare la vita al piccolo Chris, ha capito che lo ama e sogna dalla prima volta che l'ha visto in ambulatorio di strappargli il camice a morsi.
Le loro bocche sono a pochi millimetri, il fiato dell'uno sulla bocca dell'altra. Finalmente copuleranno tra un analgesico e un disinfettante. Noi sul divano siamo pronte con la mano sul tappo di spumante perché è ora di festeggiare. Sono 46 puntate che aspettiamo questo momento dopo infiniti inizi e sentiamo che questa è la volta buona.
Stanno per baciarsi, il camice si slaccia, la mutanda cala...
Entra trafelato un infermiere ispanico “PRESTO! Abbiamo un'emergenza!” (ovviamente l'infermiere, visto che non lo caga mai nessuno si porta avanti gridando pure “LO STIAMO PERDENDO LO STIAMO PERDENDO!!DEFIBRILLATORE! UNO, DUE, TRE, LIBERA!!”
Insomma, non trombano nemmeno in questa puntata.
Non  resta che vederci le prossime ottantacinque puntate sperando che l'infermiere ispanico almeno sia in ferie, o che il dottore figo non muoia per mano di uno sceneggiatore spingendo al suicidio di massa tutta la popolazione femminile.  


martedì 15 marzo 2016

Come prendersi cura di un blog


                                                                   (foto: http://www.goblins.net/)




Circa una decina di giorni fa è uscito un articolo sul settimanale Intimità che trattava il tema del self publishing e sono stata chiamata in causa per dare la  mia testimonianza in fatto di autopubblicazione.
E fin qui niente di strano.
La giornalista poi, nella parte riguardante la mia (diciamo) biografia, ha scritto "Si prende cura del suo blog A Casa di Simo..." perché effettivamente le avevo detto che ne avevo uno.
E qui invece qualcosa di strano c'è.
L'ultimo post risale al 4 Febbraio, porca di quella maremma peppa pig!
Se questo vuol dire 'Prendersi cura di qualcosa o di qualcuno' diciamo che con me morite anche se all'inizio avete un semplice raffreddore.
Sì, è molto che non scrivo.
No, non l'ho abbandonato.
Sì, ho avuto un periodo un po' particolare.
No, non così particolare da non farmi scrivere minchiate o parole sparse sul mio profilo FB.
Sì, dovrei curarlo di più.
No, se non ho niente da scrivere, semplicemente non scrivo.
Prima di punirmi col cilicio  o ficcare la testa nel water insieme all'anatra wc per questa mia trascuratezza, mi sono fatta un giro dei blog che seguivo o quelli comunque più seguiti e mi son resa conto che non sono solo io che languo.
Blog prima commentatissimi (si parla di una media di 200 commenti a post) ora a malapena arrivano a 20.
Blogger che prima postavano tre volte a settimana sono scesi a tre volte al mese.
Quindi mi sono rilassata un attimo (solo un attimino) e mi son detta "Eh be'..." che è un pensiero colto e profondo alla "Esticazzi" e ho cercato di capire  cosa è cambiato:

I blog ci sono sempre, e sono belli. E magari hanno anche più visite. Forse i contenuti si ripetono un po', perché trovare ogni volta una chiave di lettura diversa non è facile. (Io per prima esclamo un 'Troppo ganzo!Oggi ci faccio un post!" per poi scoprire che ne avevo scritto uno simile nel 2010)
Sì, la mia potrebbe essere anche demenza senile che non mi fa ricordare una beata ceppa, ma tant'è.

Le persone non commentano più. Se prima ti passava la voglia perché c'era da inserire il codice Captcha, adesso manco facciamo lo sforzo di cliccare Commenta. E questo perché il post viene condiviso sui canali social e si commenta da lì. Perché è più veloce, perché è più immediato e perché l'autore pare averlo lì, con la sua faccina del profilo per una chiaccherata più amichevole. Come se il blog, in qualche modo, mettesse un filtro, no? Tra una pagina seriosa e il profilo stesso dell'autore preferiamo di gran lunga il secondo per uno scambio più rapido e la certezza, vista la notifica che gli arriva, che il commento comunque è stato letto.

I blog li leggiamo, su questo non ci piove. Siamo solo diventati più pigri e più infingardi. Io per prima (per i motivi sopra).

I blog cambiano e a volte il cambiamento non segue il nostro pensiero, il nostro filo logico, la nostra esperienza. Quindi, spesso, vengono abbandonati. Magari un blog è nato come Blog Creativo e ora parla di Tecnologia. Magari un blog è nato come Mommy Blog e ora è un Food Blog. Magari un blog è nato per parlare di ricette poi ora parla solo di pannolini e biberon. Perché le persone cambiano e di conseguenza cambiano pure le loro pagine, A volte per questioni editoriali, altre volte per scelte di vita, altre volte perché in quel modo semplicemente non funziona. A volte si cambia totalmente strada e capita quando un blog non ti rappresenta e non ti rispecchia più. Quando ti va stretto.

A volte i blog chiudono. E questo è sempre un gran peccato.

Insomma, il blog andrebbe curato e sistemato minino due volte a settimana (un tempo lo facevo, porcadiquellamaiala)  invece se devo scrivere una qualunque minchiata o un papiro lungo tre pagine spesso preferisco la mia pagina FB perché l'approccio mi pare (ripeto: mi pare) sia più confidenziale.

Domande per voi:

-Avete notato anche voi questa transumanza dai blog ai social?
-Vi siete lasciate corrompere dalla bella faccina di Zucherberg e postate di più su FB?
-Curate e postate con costanza come anni fa o vi lasciate prendere dalla pigrizia?

Ovvio che rispondendo non si vince nulla, ma mi sentirei meno sola, ecco.

p.s. È chiaro che il titolo di questo post è una provocazione. Ergo: non fate come me.



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