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In questi giorni gira in rete (tra
facebook e articoli di varie testate)
la storia di Paola, invitata a
lasciare la stanza durante un colloquio di lavoro perché si è
rifiutata di rispondere alla domanda “Lei è sposata? Convive? Ha
figli?”. Secondo il titolare dell'agenzia era rilevante al fine di darle un
lavoro, secondo Paola invece no. Io non entro nel merito perché
non so se ci sono state altre dinamiche, anche se, al posto di Paola,
probabilmente avrei fatto lo stesso. Si può non rispondere alle
domande sulla vita privata? Credo di sì. Fatto sta che all'uomo
sono piovute addosso offese di ogni tipo (come biasimare tutto ciò) per come
l'ha trattata. È stato chiamato maschilista e via dicendo. Inoltre
alcuni commenti sono stati “Un uomo ti giudicherà sempre
male.” “Un uomo non può capire" “È un uomo...cosa vuoi
sperare...”
Bene, vi dico la mia: non è che con le
donne vada molto meglio. E, dopo moooolto mooolto tempo, voglio
raccontarvi una cosa che ho taciuto prima per rabbia, poi per
delusione, poi perché mi sono sistemata in un altro modo (e col
senno di poi anche meglio) e poi perché per un po' ha prevalso il “Sai che
c'è? Ma vaffanculo.”
Ora, invece, questa storia di Paola mi
ha riportato alla mente la mia esperienza, che anche se non è
uguale, parla di un certo tipo di discriminazione.
Non so se sarò breve, ma ci provo:
Un po' di tempo fa, quando stavo per
buttarmi a corpo morto nella scrittura, una mia conoscente mi
contatta perché il titolare di un negozio cercava una persona fidata
e di esperienza per il proprio punto vendita. Lei gli aveva fatto il
mio nome e mi dice che a breve, l'uomo, mi contatterà. Mi chiede se
ha fatto bene, la rassicuro con risposta affermativa. Ho sì lasciato
un lavoro full time (che mi stava massacrando ) per dedicarmi alla
famiglia e alla scrittura, ma mi piacerebbe rimettermi in piazza,
magari con un part time, un piccolo impiego che mi eviti di
imbruttirmi facendo di me una casalinga disperata e che mi permetta
di lasciarmi del tempo da dedicare alle mie passioni. Lo so, detta
così pare una chimera perché tutti vorremmo questo, ma io non ho
mai smesso di pensarci e, più che altro, di provarci. Ritengo, tutt'oggi, che per dare il meglio, anche nella scrittura, io abbia bisogno di stimoli, di gente, di confrontarmi, di avere un impegno fisso che mi faccia trovare il giusto equilibrio tra cosa voglio e cosa sogno.
Comunque. Dopo tre giorni mi chiama questo
signore, mi dice del punto vendita, mi chiede cosa cerco e cosa lui
mi può offrire e, come per magia, vogliamo le stesse cose. Gli parlo
della mia esperienza ventennale nel settore, di cosa mi sono sempre
occupata, dei miei aggiornamenti su corsi e procedure. Lui è molto
convinto: sono la persona che cercava. Tuttavia insisto per fargli
recapitare il mio curriculum. Lui ribatte con un “Non ho bisogno
del suo curriculum. Il curriculum lo fa la gente e se l'ho chiamata è
perché in molti mi hanno parlato bene di lei.” Non mi crogiolo
nella sua affermazione, mi è capitato molte volte. Anzi, grazie ai
clienti e ai fornitori sono sempre passata da un negozio ad un altro,
non sapendo cosa volesse dire la parola 'disoccupata'. Sì, ho sempre
avuto anche un gran culo, probabilmente. E sì, probabilmente lo so
fare bene, non perché sono particolarmente dotata, ma perché non ho
mai fatto altro in vita mia. E dai oggi e dai domani, poi lo fai bene
per forza.
Ci accordiamo per farmi visitare il
punto vendita che, mi avverte, è gestito dal figlio. Di fatto io lui
non lo incontrerò mai perché si occupa principalmente di reclutare
il personale.
Il giorno dell'appuntamento presto
particolare attenzione al mio abbigliamento che non deve essere
trasandato (la reputo una mancanza di rispetto per chi ti deve
assumere) e nemmeno troppo ricercato o provocante ( la minigonna
giropassera o abiti attillati si mettono per una serata e non per un
colloquio).
Detto ciò opto per un look sportivo ma
sobrio. Dei jeans, degli stivali e un giubbottino di pelle che, per
via delle temperature, non sbottonerò mai. Un velo di trucco, capelli
sciolti, niente orecchini vistosi, nulla di appariscente.
Incontro il figlio del signore che mi
accoglie quasi in amicizia. Come il padre mi snocciola cose che già
sa di me e in breve tempo parliamo delle nostre conoscenze nel
settore e di tutto quello che potrei gestire in negozio. Dalla
cassa, ai buoni sconto, a come si compila una bolla di
accompagnamento, a come si fa l'inventario. Ci troviamo d'accordo
sull'elasticità dell'orario, quasi mi interroga sulle procedure
antincendio e antinfortunistiche, ma io le so. Tutte. Gli snocciolo
le mie tesi sulle quali non transigo tipo il cellulare che va
lasciato nell'armadietto e il non stare attaccata al minuto quando si
esce. Per me dieci minuti vanno e vengono, se c'è il lavoro non sto
a guarda' l'orologio. Sembra quasi che il capo lo abbia fatto anche
io. Lui è colpito, ma nonostante ciò insisto perché legga il mio
curriculum da cima a fondo. Voglio fare le cose per bene, non voglio
essere assunta perché Pincopallino mi conosce e può referenziarmi.
Lo fa e mi pare ancora più deciso.
“Mi serviva una persona d'esperienza
come te. Non abbiamo tempo e possibilità di seguire chi non c'è
dentro da un po'. ” mi dice senza troppi fronzoli. E io apprezzo.
Avrà qualche anno più di me ma nella sua voce come nei suoi gesti
non c'è piaggeria, non c'è malizia, non c'è un briciolo di
galanteria al fine di fare il piacione. Perché puntualizzo tutto ciò? Tra
poco capirete.
“Avevano ragione, e il curriculum
parla chiaro. Per me vai benissimo. Ti faccio chiamare dal mio
commercialista per il contratto.”
“Benissimo, aspetterò la telefonata
allora,” e mi scappa un sospiro di sollievo, la tensione si
allenta. Ci sono. Sono dentro. Nel giro di tre giorni avrò un
impiego fatto su misura per me. Il posto mi piace, è carino,
ristrutturato da poco. Mi ci vedo già dentro, poche cose sarebbero
per me una sorpresa, e mi sentirei davvero a casa.
Poi, mentre mi domanda se ho mai
lavorato con una certa ditta, mi sento osservata. Lentamente mi
volto e scorgo, poco fuori dall'ufficio, una donna. Mi sta guardando
con insistenza e la scopro inclinare la testa per guardarmi il culo.
Avete letto bene.
“Ah, questa è mia moglie.”
Nonostante l'approccio un po'
discutibile le sorrido cordiale, ma il sorriso mi muore in gola,
visto che lei ricambia serrando le labbra. E in quel preciso momento
ho pensato:
“Io questo lavoro non l'avrò MAI.”
Chiamatela premonizione, sesto senso,
sensazione femminile. Chiamatelo come volete, ma avevo appena
assistito al mio licenziamento ancor prima di essere stata assunta.
La donna passa oltre e tutta
l'adrenalina che avevo in corpo evapora come una pozzanghera al sole.
Se mi vedessi da fuori vedrei una
Simona afflitta, con le spalle, dapprima dritte e fiere, leggermente
incurvate in segno di sconfitta. Il mio sorriso non è più genuino,
ma quello che rivolgo a lui è solo cordialmente tirato. La mia voce
ha perso l'entusiasmo e prima che possa congedarmi ho la conferma
del mio pensiero. La donna entra in ufficio stizzita, quasi mi dà
una borsata, aggredisce lui su alcune amenità e se ne va senza
salutare. Né me, né lui.
“Io e mia moglie gestiamo il
negozio,” mi dice quasi scusandosi.
“Non solo,” vorrei ribattere,
“gestisce anche te.”
Invece dico “Bene.” quando non va
bene un cazzo. Perché so, caro mio, che anche tu come tanti sei
vittima di una gelosia marcia, malata, totalmente incomprensibile,
inspiegabile. Una gelosia che ti fa dannare ma, evidentemente, non
abbastanza da farti opporre con forza. Una gelosia che ti condiziona
la scelta delle dipendenti che con un paio di jeans e degli stivali
vengono reputate delle minacce o più probabilmente vengono reputate
delle minacce in quanto donne. Una gelosia che mina non solo il
vostro matrimonio e la sfera privata ma anche quella lavorativa. Una
gelosia che ti farà reclutare e assumere per la tua attività, del
personale dall'aspetto sì rassicurante ma magari totalmente
incapace. Del personale senza esperienza, senza motivazione, senza
quella particolare predisposizione al pubblico che un po' è
carattere e un po' si acquisisce con gli anni; perché è brutto
dirlo, ma non tutti sanno stare al pubblico. Una gelosia che ti
porterà ad avere a che fare con dipendenti buttati in un reparto di
prodotti di cui non sapevano manco l'esistenza. Una gelosia che ti
porterà a scegliere una persona non adatta a quel ruolo al posto di
quella qualificata, a discapito della professionalità e della
serietà del tuo punto vendita. Ecco a cosa ti porterà questa
gelosia.”
Ho salutato con una stretta di mano
quest'uomo, già sapendo che non l'avrei più rivisto. Infatti non
c'è stata nessuna telefonata, nessun commercialista, nessun lavoro.
Mi sono fatta sentire due volte, volevo chiarimenti, volevo che mi
dicessero la verità. Volevo che mi dicessero che non sono stata
assunta perché, agli occhi della moglie, sono piacente, sono
femmina, sono donna. Li ho messi sotto torchio, si sono arrampicati
sugli specchi. La situazione era talmente ridicola e grottesca che
alla fine ho chiuso io perché mi facevano troppa pena. Una coppia di uomini senza palle che proteggono una tipa con seri
problemi di autostima, incapaci forse, di fare l'ennesima guerra in
famiglia. E non potete capire l'incazzatura per ciò che in quel
momento mi è stato negato. Un'incazzatura folle perché la mia
esperienza e professionalità e stata messa sul piatto della bilancia
contrapposta al mio sesso e quest'ultimo è stato decisamente più
pesante. E parliamo di un posto da commessa non di una scrivania da
manager. Tuttavia potevo essere una madre di quattro figli con il
marito in cassa integrazione bisognosa di quel lavoro come l'aria che
respiro e mi sarei vista scartata nonostante le ottime referenze,
nonostante i due 'superiori' avessero deciso che quel posto sarebbe
stato mio. E 'Solo' perché una moglie possessiva ha detto NO. Così, senza un cazzo di motivo ragionevole.
In tutto questo, però, mi sono
domandata se avessi sbagliato qualcosa io, perché solo un'imbecille
non si sarebbe fatta qualche domanda. Mi sono confrontata perché ho
temuto di essere stata presuntuosa, altezzosa, un filino troppo
decisa e determinata. Ma la risposta, come sempre, la fa la gente.
Ho saputo, da vecchi dipendenti, di scenate di gelosia tra gli
scaffali dei pelati e lo sgabuzzino. Di personale femminile scappato
in lacrime perché offeso in pubblico. Di barzellette e derisione per
questa Otello in gonnella. Di come sia impossibile, in quanto donna,
lavorare serenamente là dentro.
Ora, a distanza di tempo, ho un
piccolo impiego con 'una coppia' di capi che mi hanno valutato e
riconosciuto per quello che so fare. A loro è bastato vedermi
all'opera nel giorno più critico all'ora di punta. Ho superato
l'esame, è andata. Una coppia che a settembre, dopo un anno
dall'assunzione, mi ha voluto festeggiare con un aperitivo per i
dodici mesi trascorsi insieme.
Quindi a pensarci bene, alla fine, mi è
andata di culo.