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sabato 6 febbraio 2021

IL SIGNOR ELLE

 Noi al lavoro abbiamo i nostri clienti abituali; persone che 'cascasse il mondo' il sabato sono lì, a prendere la loro spesa consueta. E più sono avanti con l'età e più non demordono perché l'abitudine, anche in questo caso, dà stabilità, in qualche modo rassicura.

Il signor Elle (lo chiamerò così) da quando lavoro lì, e cioè sei anni e mezzo, tutti i sabato mattina alle 9.30 si presenta al banco. Pioggia, neve, vento, nebbia, non ha importanza, lui arriva. A volte in bicicletta, a volte a piedi con il suo cagnolino. A volte in compagnia della moglie e dell'anzianissimo suocero, un ometto mite e garbato del quale non conosco la voce. Annuisce e basta e si fa guidare per le vie del mercato a braccetto della figlia.
Il signor Elle è un gran ciarliero, simpatico e cortese. Ogni sabato ci aggiorna sul meteo della settimana e aspetta paziente quando la sua spesa abituale non è pronta. Qualche settimana fa noi non lavoravamo per l'allerta meteo, ma lui si è presentato lo stesso e noi, dispiaciuti di aver mancato, gli abbiamo dato il numero di telefono chiedendogli di telefonarci qualora il tempo fosse brutto brutto. Da allora lo ha fatto solo una volta, ma nonostante la pioggia c'eravamo. Lui si è presentato in bicicletta, con l'ombrello e un cappellino e dopo averci detto 'Tornerà il bel tempo!' è tornato a casa con la spesa legata al manubrio.
Sabato scorso il signor Elle non si è presentato. Il suo ordine lo abbiamo venduto due ore più tardi quando ormai avevamo capito che non sarebbe più venuto. Ci ha fatto strano e abbiamo sperato in un contrattempo.
Stamattina nemmeno. Sono passate le nove e mezza e poi le dieci e poi le dieci e mezza. Troppo tardi per lui.
"È successo qualcosa. Non è da lui."
"Infatti," ribatte la mia capa. "Mi preoccupo."
Ci siamo guardate con lo stesso pensiero. "Abbiamo il suo numero in rubrica. Io lo chiamerei." Ho preso il telefono della ditta, ma la mia capa mi ha fermato. "Faremo la cosa giusta? Non è che si sente violato nella sua privacy? Magari non gradisce. Non so..."
Ho riflettuto. Pensiero logico e sacrosanto. Potrebbe pensare "Guarda queste che per la mancata spesa mi chiamano a casa."
"Potrebbe pensarlo, sì. Ma noi non chiamiamo per la spesa. Non ce ne frega nulla. Noi siamo preoccupate."
"Che si fa allora?"
"Dammi qua. Lo chiamo io."
Ho fatto squillare il telefono. Al quinto squillo ha risposto.
"Signor Elle, la chiamo dal mercato!"
Momento di incertezza e poi "Sì, buongiorno!"
"Senta... non la vediamo da due settimane, non è per la spesa, non ce ne frega nulla, ma ci chiedevamo se va tutto bene..."
Breve pausa. "In effetti no..."
"Ecco, come immaginavamo..."
E lì si è sfogato. Mi ha raccontato che hanno il Covid, tutti e tre. Fortunatamente stanno benino, curati a casa molto bene. Anche il nonno ultranovantenne sta benino, tengono botta. L'ho sentito piuttosto sereno, anche se mi ha confidato di essere in pensiero per un caro amico in terapia intensiva. Ha aggiunto di essere dispiaciuto anche per non venire al mercato con il canino o la sua amata bicicletta.
"Mi scuserà, ma non è da lei mancare, eravamo in pensiero."
"Non si preoccupi" mi ha detto, "mi ha fatto tanto piacere sentirla, anzi grazie."
"Io spero di rivederla presto. Riguardatevi. Quando tornerà noi saremo sempre qui e la sua spesa sarà sempre pronta."
"Come sempre."
"Sì, come sempre."
Mi ha ringraziato ancora e ci siamo salutati con la promessa di tenerci informate.
Forse ho sbagliato, forse no. Ma tra la ragione e il sentimento, il secondo ha sempre vinto a mani basse.

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giovedì 4 febbraio 2016

Mamme che non lavorano VS mamme che lavorano


                                                                                     (Foto: http://www.pianetadonna.it/)



Dopo la guerra delle mamme che allattano contro quelle che non allattano
ce n'è una che davvero non capisco: le mamme che non lavorano che fanno la guerra a quelle che lavorano e viceversa.
Le prime accusano le altre di essere donne in carriera senza scrupoli, di non godersi e trascurare i figli (e averli fatti per farli crescere dai nonni) di mettere al primo posto il lavoro, l'avanzamento di carriera,  di essere arriviste e tremendamente egoiste.
Le seconde accusano le prime di essere vagabonde, delle donnicciole senza spina dorsale devote solo al bucato e al folletto e delle mantenute che prosciugano lo stipendio del marito per andarsi a fare la ceretta o comprarsi una borsa.
Allora: sia che si guardi da una parte sia che si guardi dall'altra, queste accuse, oltre a essere offensive e maleducate, secondo me non hanno motivo di essere sguainate per difendere la propria posizione. Perché di questo si tratta. Sia che una donna faccia la casalinga, sia che una donna sia una lavoratrice indefessa, non c'è motivo di perorare la propria causa e sapete perché? Perché sono scelte personali e non c'è una cosa giusta e una sbagliata. C'è solo una cosa giusta per ognuna di noi.
Ci sono donne che si sentono realizzate prendendosi cura solamente della casa e dei figli. E lo fanno per scelta.
Ci sono donne che si prendono cura della casa e dei figli e fanno le casalinghe perché purtroppo non c'è lavoro (ma questo è un discorso a parte che, nei casi in cui il livore tocca picchi altissimi verrà usato dalle mamme lavoratrici con la fatidica frase “Seee, se tu lo cercassi vedrai lo troveresti!”)
Ci sono donne che si prendono cura della casa, dei figli e tho! lavorano. A volte per scelta a volte perché uno stipendio solo non basta. Sono super eroine? A volte. A volte no, sono semplicemente delle mamme che ce la fanno. Spesso con l'aiuto dei nonni, altrettanto spesso da sole.
Ci sono donne che scelgono di lavorare tutto il giorno anche se potrebbero permettersi di stare a casa coi figli, il cane, il gatto e fare il punto croce, perché a loro piace lavorare, sentirsi economicamente autonome e fare cose, incontrare gente e avere il sacrosanto diritto di esercitare una professione per la quale hanno studiato tanto.
Non c'è una soluzione perfetta per tutte. C'è una soluzione perfetta per ognuna di noi. E, salvo dei casi, ce la scegliamo. O comunque faremo di tutto per avvicinarci allo stile di vita lavorativo che ci siamo prefissate o che ci è più congeniale.
(Non a caso, una volta mamme, chiediamo il part time, che secondo me rimane la soluzione ottimale per una mamma)
Io non mi sento di demonizzare la donna in carriera che sta fuori tutto il giorno. Magari è una donna che si è fatta un culo tanto nello studio, ha speso denaro, energie, tempo, e pacchi di neuroni per arrivare dove è arrivata e cosa le dobbiamo dire? “Uè, ciccia, adesso mica vorrai fare un figlio e continuare a lavorare? Cioè, se lavori tutto il giorno mica puoi fare la mamma.” E chi l'ha detto? Magari, proprio lei che lavora tutto il giorno fuori casa, può essere una madre migliore di quella che ti aspetta fuori da scuola tutti i giorni. Una donna realizzata (in qualsiasi campo) e soddisfatta, sarà una mamma felice.
Dall'altra parte non mi sento di demonizzare chi fa la casalinga per scelta. Se tu decidi di dedicarti esclusivamente alla famiglia (attenzione, bene o male anche le altre lo fanno, magari con un aiuto nelle pulizie- ma anche qui, che vi incazzate, mica gliela pagate voi la signora) e stai bene e ti senti realizzata così, perché devo chiamarti mantenuta? Perché ti devo vedere come un'arpia che non vede l'ora di mettere le mani sullo stipendio del marito per andare a farsi quattro salti in profumeria e accusarti con la classica frase “Tanto non c'hai da fare un cazzo?”
E anche qui, se la vivi bene e per scelta, sarai una madre serena. Se ti viene imposta per mancanza di lavoro o perché il marito vuole così, sarai una madre nervosa, imbruttita, che vive lo stare in casa una sorta di prigione.
Senza dimenticare che a volte dietro a una scelta che sembra prettamente personale, c'è dietro una stenderia di decisioni prese in due
Ci sono mariti che si fanno in quattro per permettere alla moglie di avere una carriera importante (fanno il bucato, la spesa, aiutano in casa, gestiscono i bambini) e ci sono mariti che si fanno in quattro (straordinari e un culo grosso così) per permettere alla moglie di stare a casa e occuparsi del nido.
Quindi come si può sindacare cosa è meglio e cosa è peggio?
Chi, è meglio di chi? Perché di questo si parla. Di chi si sente superiore rispetto all'altra perdendo di vista, ancora una volta, che non c'è una soluzione per tutte. Ripeto: c'è una soluzione per ognuna di noi. E sono tante, tantissime, e con mille sfaccettature.
Quindi se tu mamma, sorridi allo specchio alle 7 di mattina, e vedi una donna serena, soddisfatta della vita e piena di grinta per affrontare la giornata, sia che tu abbia deciso di fare la casalinga, sia che tu abbia deciso di lavorare, sappi che hai fatto la scelta giusta. Per la tua famiglia. Per i tuoi figli.

Ma soprattutto per te. Perché se tu sei felice lo sarà anche chi ti sta intorno.



(p.s. lo so, discorsi ovvi e banali, ma spesso è l'unica maniera che abbiamo per seguire la propria strada con semplicità)

mercoledì 4 novembre 2015

Io, donna, in cerca di lavoro.


                                                                                           Foto:www.blitzquotidiano.it





In questi giorni gira in rete (tra facebook e articoli di varie testate) la storia di Paola, invitata a lasciare la stanza durante un colloquio di lavoro perché si è rifiutata di rispondere alla domanda “Lei è sposata? Convive? Ha figli?”. Secondo il titolare dell'agenzia  era rilevante al fine di darle un lavoro, secondo Paola invece no. Io non entro nel merito perché non so se ci sono state altre dinamiche, anche se, al posto di Paola, probabilmente avrei fatto lo stesso. Si può non rispondere alle domande sulla vita privata? Credo di sì. Fatto sta che all'uomo sono piovute addosso offese di ogni tipo (come biasimare tutto ciò) per come l'ha trattata. È stato chiamato maschilista e via dicendo. Inoltre alcuni commenti sono stati  “Un uomo ti giudicherà sempre male.” “Un uomo non può capire" “È un uomo...cosa vuoi sperare...”
Bene, vi dico la mia: non è che con le donne vada molto meglio. E, dopo moooolto mooolto tempo, voglio raccontarvi una cosa che ho taciuto prima per rabbia, poi per delusione, poi perché mi sono sistemata in un altro modo (e col senno di poi anche meglio) e poi perché per un po' ha prevalso il “Sai che c'è? Ma vaffanculo.”
Ora, invece, questa storia di Paola mi ha riportato alla mente la mia esperienza, che anche se non è uguale, parla di un certo tipo di discriminazione.
Non so se sarò breve, ma ci provo:
Un po' di tempo fa, quando stavo per buttarmi a corpo morto nella scrittura, una mia conoscente mi contatta perché il titolare di un negozio cercava una persona fidata e di esperienza per il proprio punto vendita. Lei gli aveva fatto il mio nome e mi dice che a breve, l'uomo, mi contatterà. Mi chiede se ha fatto bene, la rassicuro con risposta affermativa. Ho sì lasciato un lavoro full time (che mi stava massacrando ) per dedicarmi alla famiglia e alla scrittura, ma mi piacerebbe rimettermi in piazza, magari con un part time, un piccolo impiego che mi eviti di imbruttirmi facendo di me una casalinga disperata e che mi permetta di lasciarmi del tempo da dedicare alle mie passioni. Lo so, detta così pare una chimera perché tutti vorremmo questo, ma io non ho mai smesso di pensarci e, più che altro, di provarci. Ritengo, tutt'oggi, che per dare il meglio, anche nella scrittura, io abbia bisogno di stimoli, di gente, di confrontarmi, di  avere un impegno fisso che mi faccia trovare il giusto equilibrio tra cosa voglio e cosa sogno. 
Comunque. Dopo tre giorni mi chiama questo signore, mi dice del punto vendita, mi chiede cosa cerco e cosa lui mi può offrire e, come per magia, vogliamo le stesse cose. Gli parlo della mia esperienza ventennale nel settore, di cosa mi sono sempre occupata, dei miei aggiornamenti su corsi e procedure. Lui è molto convinto: sono la persona che cercava. Tuttavia insisto per fargli recapitare il mio curriculum. Lui ribatte con un “Non ho bisogno del suo curriculum. Il curriculum lo fa la gente e se l'ho chiamata è perché in molti mi hanno parlato bene di lei.” Non mi crogiolo nella sua affermazione, mi è capitato molte volte. Anzi, grazie ai clienti e ai fornitori sono sempre passata da un negozio ad un altro, non sapendo cosa volesse dire la parola 'disoccupata'. Sì, ho sempre avuto anche un gran culo, probabilmente. E sì, probabilmente lo so fare bene, non perché sono particolarmente dotata, ma perché non ho mai fatto altro in vita mia. E dai oggi e dai domani, poi lo fai bene per forza.
Ci accordiamo per farmi visitare il punto vendita che, mi avverte, è gestito dal figlio. Di fatto io lui non lo incontrerò mai perché si occupa principalmente di reclutare il personale.
Il giorno dell'appuntamento presto particolare attenzione al mio abbigliamento che non deve essere trasandato (la reputo una mancanza di rispetto per chi ti deve assumere) e nemmeno troppo ricercato o provocante ( la minigonna giropassera o abiti attillati si mettono per una serata e non per un colloquio).
Detto ciò opto per un look sportivo ma sobrio. Dei jeans, degli stivali e un giubbottino di pelle che, per via delle temperature, non sbottonerò mai. Un velo di trucco, capelli sciolti, niente orecchini vistosi, nulla di appariscente.
Incontro il figlio del signore che mi accoglie quasi in amicizia. Come il padre mi snocciola cose che già sa di me e in breve tempo parliamo delle nostre conoscenze nel settore e di tutto quello che potrei gestire in negozio. Dalla cassa, ai buoni sconto, a come si compila una bolla di accompagnamento, a come si fa l'inventario. Ci troviamo d'accordo sull'elasticità dell'orario, quasi mi interroga sulle procedure antincendio e antinfortunistiche, ma io le so. Tutte. Gli snocciolo le mie tesi sulle quali non transigo tipo il cellulare che va lasciato nell'armadietto e il non stare attaccata al minuto quando si esce. Per me dieci minuti vanno e vengono, se c'è il lavoro non sto a guarda' l'orologio. Sembra quasi che il capo lo abbia fatto anche io. Lui è colpito, ma nonostante ciò insisto perché legga il mio curriculum da cima a fondo. Voglio fare le cose per bene, non voglio essere assunta perché Pincopallino mi conosce e può referenziarmi. Lo fa e mi pare ancora più deciso.
“Mi serviva una persona d'esperienza come te. Non abbiamo tempo e possibilità di seguire chi non c'è dentro da un po'. ” mi dice senza troppi fronzoli. E io apprezzo. Avrà qualche anno più di me ma nella sua voce come nei suoi gesti non c'è piaggeria, non c'è malizia, non c'è un briciolo di galanteria al fine di fare il piacione. Perché puntualizzo tutto ciò? Tra poco capirete.
“Avevano ragione, e il curriculum parla chiaro. Per me vai benissimo. Ti faccio chiamare dal mio commercialista per il contratto.”
“Benissimo, aspetterò la telefonata allora,” e mi scappa un sospiro di sollievo, la tensione si allenta. Ci sono. Sono dentro. Nel giro di tre giorni avrò un impiego fatto su misura per me. Il posto mi piace, è carino, ristrutturato da poco. Mi ci vedo già dentro, poche cose sarebbero per me una sorpresa, e mi sentirei davvero a casa.
Poi, mentre mi domanda se ho mai lavorato con una certa ditta, mi sento osservata. Lentamente mi volto e scorgo, poco fuori dall'ufficio, una donna. Mi sta guardando con insistenza e la scopro inclinare la testa per guardarmi il culo. Avete letto bene.
“Ah, questa è mia moglie.”
Nonostante l'approccio un po' discutibile le sorrido cordiale, ma il sorriso mi muore in gola, visto che lei ricambia serrando le labbra. E in quel preciso momento ho pensato:
“Io questo lavoro non l'avrò MAI.”
Chiamatela premonizione, sesto senso, sensazione femminile. Chiamatelo come volete, ma avevo appena assistito al mio licenziamento ancor prima di essere stata assunta.
La donna passa oltre e tutta l'adrenalina che avevo in corpo evapora come una pozzanghera al sole.
Se mi vedessi da fuori vedrei una Simona afflitta, con le spalle, dapprima dritte e fiere, leggermente incurvate in segno di sconfitta. Il mio sorriso non è più genuino, ma quello che rivolgo a lui è solo cordialmente tirato. La mia voce ha perso l'entusiasmo e prima che possa congedarmi ho la conferma del mio pensiero. La donna entra in ufficio stizzita, quasi mi dà una borsata, aggredisce lui su alcune amenità e se ne va senza salutare. Né me, né lui.
“Io e mia moglie gestiamo il negozio,” mi dice quasi scusandosi.
“Non solo,” vorrei ribattere, “gestisce anche te.”
Invece dico “Bene.” quando non va bene un cazzo. Perché so, caro mio, che anche tu come tanti sei vittima di una gelosia marcia, malata, totalmente incomprensibile, inspiegabile. Una gelosia che ti fa dannare ma, evidentemente, non abbastanza da farti opporre con forza. Una gelosia che ti condiziona la scelta delle dipendenti che con un paio di jeans e degli stivali vengono reputate delle minacce o più probabilmente vengono reputate delle minacce in quanto donne. Una gelosia che mina non solo il vostro matrimonio e la sfera privata ma anche quella lavorativa. Una gelosia che ti farà reclutare e assumere per la tua attività, del personale dall'aspetto sì rassicurante ma magari totalmente incapace. Del personale senza esperienza, senza motivazione, senza quella particolare predisposizione al pubblico che un po' è carattere e un po' si acquisisce con gli anni; perché è brutto dirlo, ma non tutti sanno stare al pubblico. Una gelosia che ti porterà ad avere a che fare con dipendenti buttati in un reparto di prodotti di cui non sapevano manco l'esistenza. Una gelosia che ti porterà a scegliere una persona non adatta a quel ruolo al posto di quella qualificata, a discapito della professionalità e della serietà del tuo punto vendita. Ecco a cosa ti porterà questa gelosia.”
Ho salutato con una stretta di mano quest'uomo, già sapendo che non l'avrei più rivisto. Infatti non c'è stata nessuna telefonata, nessun commercialista, nessun lavoro. Mi sono fatta sentire due volte, volevo chiarimenti, volevo che mi dicessero la verità. Volevo che mi dicessero che non sono stata assunta perché, agli occhi della moglie, sono piacente, sono femmina, sono donna. Li ho messi sotto torchio, si sono arrampicati sugli specchi. La situazione era talmente ridicola e grottesca che alla fine ho chiuso io perché mi facevano troppa pena. Una coppia di uomini senza palle che proteggono una tipa con seri problemi di autostima, incapaci forse, di fare l'ennesima guerra in famiglia. E non potete capire l'incazzatura per ciò che in quel momento mi è stato negato. Un'incazzatura folle perché la mia esperienza e professionalità e stata messa sul piatto della bilancia contrapposta al mio sesso e quest'ultimo è stato decisamente più pesante. E parliamo di un posto da commessa non di una scrivania da manager. Tuttavia potevo essere una madre di quattro figli con il marito in cassa integrazione bisognosa di quel lavoro come l'aria che respiro e mi sarei vista scartata nonostante le ottime referenze, nonostante i due 'superiori' avessero deciso che quel posto sarebbe stato mio. E 'Solo' perché una moglie possessiva ha detto NO. Così, senza un cazzo di motivo ragionevole.
In tutto questo, però, mi sono domandata se avessi sbagliato qualcosa io, perché solo un'imbecille non si sarebbe fatta qualche domanda. Mi sono confrontata perché ho temuto di essere stata presuntuosa, altezzosa, un filino troppo decisa e determinata. Ma la risposta, come sempre, la fa la gente. Ho saputo, da vecchi dipendenti, di scenate di gelosia tra gli scaffali dei pelati e lo sgabuzzino. Di personale femminile scappato in lacrime perché offeso in pubblico. Di barzellette e derisione per questa Otello in gonnella. Di come sia impossibile, in quanto donna, lavorare serenamente là dentro.

Ora, a distanza di tempo, ho un piccolo impiego con 'una coppia' di capi che mi hanno valutato e riconosciuto per quello che so fare. A loro è bastato vedermi all'opera nel giorno più critico all'ora di punta. Ho superato l'esame, è andata. Una coppia che a settembre, dopo un anno dall'assunzione, mi ha voluto festeggiare con un aperitivo per i dodici mesi trascorsi insieme.
Quindi a pensarci bene, alla fine, mi è andata di culo.



sabato 4 gennaio 2014

Fate l'amore col tavolone

Eccoci qua col nuovo anno.
L'avete passato bene il capodanno? contatevi le dita. Ce le avete tutte? Bravi, l'avete passato bene allora.
Il nuovo anno per me è cominciato col botto, nel senso che ho fatto na botta di sonno il primo giorno che credevo di esser morta. Poi  mi son ripresa ed è stato tutto un lavorìo di cose da fare, progetti, varie ed eventuali.
Tanto per cominciare c'ho il Santo a casa e quando il Santo è a casa, la parola d'ordine è:
cassettadegliattrezzi. Tutto attaccato. Capite perché lo amo, tra le altre?
Vi faccio un  esempio: un uomo, prima di portarti da Ikea per comprare quel mobilino che poi l'uomo in questione dovrebbe montare, preferirebbe morire di morte lenta e dolorosa. Preferirebbe ingoiare un ombrello chiuso per cagarlo aperto, preferirebbe essere attaccato per i kiwi sullo stendibiancheria, preferirebbe rinchiudersi le dita nel portellone della Jeep.
Il Santo no.
Il Santo, una mattina a colazione, mi  ha proposto una gita all'Ikea per comprare finalmente quel mobiletto che sennò quando lo si acquista che poi c'è meno tempo? E infatti. E che non lo vuoi accontentare?
E poi già che ci siamo io e Alice abbiamo proposto un cambiamento della sua camera da letto. Tipo uno specchio, dei cassetti in più, uno scaffale per i libri che qua non si sa più dove mettere la roba. In poche parole: bisogna ottimizzare gli spazi.
Io, che quando c'è da pensare alla casa, a cambiare, progettare, fare e risfare, tocco il cielo con un dito. Il Santo che quando c'è da sguainare il trapano (ah ah ah!), il martello, viti e chiodi, è nel suo mondo.
Fosse un bimbino il suo eroe sarebbe Manny tutto fare, senza dubbio.
Insomma siamo partiti noi due alla volta di Ikea come due piccioncini innamorati. Noi due soli. Insieme. Con un progetto in testa. Ma non è romantico?
Ma de che.
Siamo partiti in due perché con quello che dovevamo prendere, Alice dietro non c'entrava.
Ci siamo fatti il nostro giretto armati del foglietto a righe e della mini matita come due esemplari perfetti di acquirenti Ikea. La giovane coppia (ah ah ah!!Ma quanto sono comica oggi? facciamo novant'anni in due) che prende appunti, immagina, crea, fa e disfa.
E non vede.
Per trovare il mobiletto che avevamo visto sul sito c'è voluto l'aiuto di un mago, di un indovino e infine di un rabdomante. Sto mobiletto non c'era verso di vederlo, fino a che io non mi sono appoggiata stanca da una parte "Amò, ma non è che abbiamo sbagliato? Cioè, il mobiletto era blu come questo qua, ma dove sarà?"
"Sotto la tua mano. È questo il mobiletto"
Due cuori e un neurone di legno massello. Due pirla is megl che uan.
Comunque era camuffato.
Sì sì come no.
Insomma abbiam preso questo mobiletto/cassettiera per la camera di Ali di un bel blu marino che lei ha già 'addobbato' con le sue conchiglie e stelle marine. Bello.
Poi abbiamo preso Billy. Chi non ha almeno un pezzetto di Billy in casa? A noi bastava un pezzo, un'ala color faggio.
Siamo arrivati a casa e la libreria era nera. Appunto.
Due cuori di cui uno daltonico a questo punto.
Abbiamo dovuto fare un'altra gita per cambiarlo, che ve lo dico a fare. A noi la benzina la regalano.
Poi ci voleva lo specchio, che mica lo compri quadrato e lo attacchi. Macchè, sei pazzo? Troppo facile. Abbiamo preso i due pezzi ondulati mooolto carini che per montarli bisogna che tu minimo abbia studiato ingegneria spaziale. Ho trovato il Santo ad armeggiare con un filo e un piombo per metterli in asse per fare un lavoro preciso. Menomale sti lavori li fa lui perché io lo appoggiavo in terra, ci mettevo un gatto morto davanti e chi s'è visto s'è visto. Però devo dire che il mì topo ha fatto un bel lavoro. Devo ovviamente evitare di specchiarmi perché rischio di rendere vano tutto ciò che di bello aveva montato.
"Amò, ma già che ci siamo...dicevo... la dispensa...le mensole non mi bastano più..." e con nonchalance sono svenuta davanti a uno scaffale per la cucina.
E poi vai al piano di sotto e compri le cazzate che fanno tanto bene al cuore.
Tipo una serra. Una piccola serra. Che io già amo ora che è vuota ma che non vedo l'ora di riempire tipo così:
                                                           (foto da http://oltreilmiogiardino.blogspot.it/2012/08/4-idee-per-la-mini-serra-di-ikea.html)


Ma non è fantastica? Tutti dovrebbero avere una piccola serra in casa, nevvero? E poi era in offerta! Non potevo non prenderla! (Becky Bloomwood esci da questo corpo!)
Poi alcuni ciottoletti per la cucina (tipo un'alzatina per i dolci  - in offerta!-  fantastica!) che voglio dire, con l'anno nuovo bisogna portare aria nuova anche lì no? E poi vabbè ti scappa la pipì e vai in bagno, no? E quindi anche in bagno...suvvia e che non lo vuoi prendere un tappetino nuovo per il bagno? E la lavanda? E un cuscino? Un mestolo? Un nano da giardino? Un alieno? Insomma, qualcosa di poco costoso ma molto molto inutile? E andiamo!
Ma non abbiamo preso roba ingombrante, no no. Il primo viaggio di ritorno lo abbiamo fatto impennando. La macchina stava così. Su due ruote.
Il secondo viaggio l'ho fatto abbracciata a Billy. Cesare Cremonini cantava "C'è qualcosa di grande tra di noiiii..." Bene. Noi c'avevamo la libreria. Sembravamo al gioco delle coppie con Predolin. Io di qua e lui di là dalla parete. Parlavamo senza vederci. Un amore di viaggio. Soprattutto sotto le curve stavo na favola. Agguantavo il tavolone manco fosse un tronista venticinquenne, per paura mi scappasse dalla bauliera e mi si schiantasse sull'autostrada. Un abbraccio caloroso che mi ha fatto venire due tricipiti così. Un amplesso, tipo. Ci farei uno slogan: "Fate l'amore con il tavolone" caro signor Muller.

E niente, ora mentre scrivo, ci stiamo prendendo una pausa. In casa sembra mi ci sia scoppiata una bomba. C'è più cartone qui che in una cartiera. E un delizioso profumo di legno nuovo che non vi sto a dire.
Tra domani e dopodomani dovremmo finire, quindi per il 6 Gennaio non  mi aspettate che quest'anno c'ho da fa'.

Ah, nartra cosa: su Amazon è uscita la nuova intervista del mese di Gennaio. L'intervista l'hanno fatta a me.

Un grazie a Giulia che ha avuto la pazienza e la perseveranza nell'impresa perché quel giorno avevamo la telefonia avversa, il tempo ostile e sicuramente saturno contro. Ma ce l'abbiamo fatta. Con grasse risate.
L'intervista è QUI

Scusate ma vado a preparare la pizza.
Pure.







martedì 1 ottobre 2013

I piaceri della vita

Scena 1 - interno negozio - giorno

Entra una coppia. Lei è una ragazza molto bella con un leggero strabismo di Venere che la rende più intrigante. Lui è un tipo magro, curato, con la camicia con le cifre.
La commessa ascolta le ordinazioni davanti a un'altra decina di persone. La commessa prepara in fretta il panino con la mortadella per lui e chiede gentilmente "Per lei, signorina, faccio altrettanto?"
"No" si sente rispondere. "A me con le melanzane grigliate"
La commessa, che non si fa mai li cazzi sua esordisce con "Perfetto. Ma un giorno la provi la nostra mortadella, è una delle migliori!"
"Non  credo proprio" risponde la bella ragazza agitando i lunghi capelli neri "Sono vegana" e sorride compiaciuta al compagno, mentre lui sorride compiaciuto al panino con la mortazza che la commessa le porge.
La commessa sorride gentile a entrambi e augura buon appetito, senza elaborare alcunché pensiero al riguardo.
Ma c'è, oltre alla commessa, qualcun'altro che non si fa mai li cazzi sua.
"Cosa è, lei?" fa una donnina con un bel ciuffo grigio in cima alla capoccia. Quei ciuffi un po' troppo pieni di lacca, che sanno di parrucchiere.
La bella ragazza si gira verso la signora e ripete "Sono vegana"
"Cioè, non mangia carne?" chiede la donnina stringendo gli occhi.
 La commessa, a quel punto, si mette comoda e agguanta un pacchetto di pop corn.
"Non solo non mangio carne, ma non mangio formaggi, derivati del latte, uova...è un discorso lungo" lo dice con quell'aria tipo 'che palle tutte le volte spiegare la stessa storia' e la commessa capisce che dev'essere davvero una palla.
La donnina la guarda da capo a piedi con ammirazione e fa "Lei, signorina, è troppo giovane e bella per privarsi delle gioie della tavola..." poi si rivolge alla commessa "Intanto affettamene due etti, tagliata spessa, lo sai che sono buongustaia"
La ragazza sorride compiaciuta mostrando anche dei bei denti.
"...ma..." continua la donnina rivolta alla mora "non sa cosa si perde,"  a quel punto sposta lo sguardo sul ragazzo che fin'ora non ha aperto bocca "Vede..." continua la donnina  " ai piaceri della buona tavola, soprattutto alla sua età, non si dovrebbe rinunciare. Privarsi di tutto questo ben di Dio, di queste prelibatezze, non può farle bene. Essere...vegani, giusto? È come andare a letto con un figo e fermarsi a metà, privarsi di alcuni piaceri. Questo no, questo no, questo no. Insomma, per farle capì: chi gode di più, io o lei?"
La commessa si sta ancora chiedendo non se l'essere vegano sia una scelta giusta o sbagliata (e francamente che la gente faccia cosa le pare, e vorrei vedè), ma se la donnina sia veramente capace di andare a letto con un figo, fare tutto e uscirne indenne col suo ciuffo grigio che ancora sa di parrucchiere.








domenica 18 agosto 2013

Ci sono anche se non sembra

Non sono morta, sono viva.
C'ho solo un periodino che guarda, madonnamia, come lo sognavo.
Son cambiate un po' di cose al lavoro, tipo che da un part time son passata al full time e c'ho da ripijamme un attimo. Incastro cose e persone che manco un giocatore esperto di tetris. Anzi, se mi stai leggendo, ti sfido quando vuoi perché posso dire di farcela, per ora. Sto facendo tutti i giorni l'orario spezzato (l'incubo di ogni commessa) e torno a casa spezzatino.
Quindi in questi giorni avrei bisogno di avere il naso come Samanta la strega. Tipo che trintrintrin e i panni, voilà! puliti ma soprattutto stirati già nell'armadio. Trintrintrin l'aspirapolvere che va da sè impazzito nemmeno andasse a cocaina e non a corrente. Trintrintrin e tho!cena pronta di quelle pantagrueliche visto che con un altro trintrintrin ho fatto comparire 20 gradi invece di 40. Mi adorerei.
Invece macchè, son qui che mi barcameno, che barcollo ma non mollo, che non c'ho tempo/voglia/ispirazione/cazzi&mazzi per scrivere sul blog. Ho cominciato un libro un  mese e fa e sono a un terzo della lettura. Namobbene. Nel frattempo ho nella testa mille progetti e zero tempo per metterli in atto, ma non è fantastico? E poi la sera guardo la prima parte di un film e nella seconda  parte la protagonista non è una gnocca ma è il mio rivolo di bava sul mento. Ronfo che è una bellezza. Per fortuna c'ho il Santo che al mio ritorno mi fa trovare la tavola apparecchiata, mezza cena già pronta e pure le candele sul tavolo. Cioè, ehm...la lanterna con la citronella dentro...ma non è fantastico lo stesso?
E meno male che c'ho sempre lui che nei momenti di cedimento mi massaggia le spalle e mi fa tipo Rocky "Dài, forza! Non fa male!Non fa male!Combatti!Prendi a cazzotti quel quarto di bue, avanti!Così. E ora la scalinata,forza!" Mi sto facendo il fisico. Spesso arrivo la sera e mi rendo conto di non essermi ancora seduta. Tipo l'altra sera ho visto una sedia e ho detto "E questo aggeggio cosa è? A cosa serve?" Robe così.
In poche parole: non ci sto capendo un cazzo, faccio discorsi senza senso e quando Alice in bagno mi dice "Prendo queste forcine" io le rispondo "Sono un euro e venti. Grazie e arrivederci".
E poi cose tipo:
entro in casa e dico "Buonasera, signori"
se il Santo mi chiede che ore sono gli rispondo "Chiudiamo alle otto e mezzo"
e facendo le porzioni in tavola mi scappa un "È un etto e mezzo. Lascio?"
Comunque. Fatemi ripigliare che tornerò più pimpante che mai.
Miei cari, io spero a presto, che vi devo dire. Devo solo organizzarmi un attimino e poi torno.
Nel frattempo, se avete una soluzione, una parola di conforto, un po' di droga o una badante da offrirmi, è bene accetta.

mercoledì 8 maggio 2013

Poche cose uccidono come il cambio degli armadi





No, ma ditemi voi che piaga.
E mi sa che siamo tutti sulla stessa barca, come disse Schettino.
Il cambio dei vestiti in primavera e autunno è qualcosa che mi uccide. Perché anche se ripongo tutto pulito, tutto ermetico, tutto sigillato e tutto a modino, io, una volta sfatte le scatole, rilavo tutto. Ogni volta. E non ho problemi di muffa, tarme o pantegane. Proprio ci sento quel che, quell'odorino di chiuso che io nonjelafò. Quando mi metto una maglietta non ti dico che devo sentire un 'orchestra di fiordalisi con tripudio di lavanda, ma il profumino di bucato sì. E quindi immaginatevi con sto tempo ballerino dove piove un giorno sì e uno no che guerra è stata.
Sabato il tempo era bellissimo ed era la giornata perfetta per fare tutto ciò, ma io mica ce l'ho fatta. Seeeeeee. La mattina sono andata in centro a comprare il regalo a mio fratello per il suo compleanno, il pomeriggio (quasi tutto il pomeriggio) mi sono dedicata alla realizzazione della sua torta. La prima con pasta di zucchero. No vabbè, non vi dico il divertimento, non me l'aveva detto nessuno, ma è come giocare con il pongo!!Mi mancavano le formine ed ero a posto. Ho pure trovato i pennarelli alimentari, una figata, tipo che ora posso scrivere Ti Amo sulla brioches che porgo al Santo o Sei la mia vita sulla cotoletta che friggo ad Alice. Ma non è fantastico? Ah, vanno solo sulla pasta di zucchero. Uff...vabbè però è ganzissimo. Ora proverò a fare degli esperimenti. E mi salterà non solo il contatore ma tutta la cucina. Garantito al limoncello.
Visto che è musicista la scelta è ricaduta su uno spartito:





Apro parentesi:( 1- i dischi di torta sono bagnati con il succo delle pesche sciroppate e la farcitura è di marmellata di albicocche. 2- La torta ha la glassatura variegata al doppio cioccolato. 3- Se non mi muovo a fare le foto mi si strugge tutto. 4- ma se non le faccio fuori in casa vengono una ciofeca. 5 - Se ero Oliviero Toscani o Luigi Biasetto non ero qua) Chiudo parentesi.

Mi sono servita del mattarello, dello zucchero a velo e...della squadra di Alice per fare un lavoro bello preciso. Sì, ho copiato dal suo quaderno la chiave di violino perché non me la ricordavo.
Ho disegnato delle note a caso sentendomi un casino Mozart e pensando di fare un capolavoro. Alice ha provato a suonarlo e amorevolmente mi ha detto “Mamma, come compositore fai pena. Prova con l'ippica” Vabbè, ma sennò ero perfetta, nevvero?Insomma la torta ha fatto un figurone anche se mio fratello lì per lì ha creduto che l'avessi fatta io come mi avrebbe creduto se gli avessi detto “Ho ricevuto un Nobel per l'astrofisica”

 

E quindi niente, sabato tutta concentrata sulla torta, ma sabato sera, ottimista abbestia, mi dico “Domani. Domani metto la lavatrice in funzione, sacrifichiamo una domenica ma devo assolutamente fare il cambio degli armadi, perché qui non c'abbiamo più nulla da mettersi” Il Santo ha annuito dentro la sua maglia a collo alto e i pantaloni di velluto.
Scherzo, non ce l'ha nemmeno mai avuti i pantaloni di velluto.
La notte mi sogno che i panni vanno da soli in lavatrice, escono trotterellando e si stendono da soli sotto un sole cocente e per finire (alleluia) si stirano da soli miracolosamente. Mi sveglio con la faccia a ebete sotto una serie di bombardamenti. Pare di essere a Beirut. Ma sono tuoni, porcalamiseriacciazozza. Tuoni, lampi e pioggia a secchiate.
Ma non gliela do vinta, ho detto che oggi fo' il cambio e faccio il cambio!Tzè, ma siamo matti?
Sì, un pochino sì. Ho messo su quattro lavatrici facendo la spola tra la casa e la stanza lavanderia e i vicini mi avranno presa per pazza perché chi è che si mette a fare quattro lavatrici con tutta quella pioggia? La Simo, e chi sennò? Avevo le camere da letto che pareva ci fosse scoppiata una bomba, un manichino di quasi un metro e sessanta che continuava a dire “Questo no, questo non mi sta più, questo mi sta stretto, questo mi sta corto, questo è ritirato...” in poche parole Alice si deve rifare il guardaroba perché è diventata una pertica.
All'una avevo una miriade di panni fradici che ovviamente non avrebbero asciugato manco per una ceppa, ma non mi sono data per vinta e subito dopo pranzo mi sono sparata una bella gita all'asciugatrice a gettoni. Sono partita da casa con quattro bustoni pieni di panni e sembrava me ne andassi di casa. Tipo che raccatti due vestiti alla rinfusa, urli “Basta!Me ne vado!” e ciao. Il Santo quando mi ha visto così, c'ha sperato e quasi creduto, ma haimè io son tornata mezz'ora dopo con i miei 65 quintali di panni belli asciutti. E alla lavanderia a gettoni non c'era manco uno straccio di Nick Kamen che si toglieva i pantaloni per lavarli. In compenso c'ho trovato una ottantenne che nell'attesa si è andata a comprare il gelato, e tutte e due siamo rimaste sedute su quella rigida panchina ipnotizzate dal roteare dell'oblò. Che tristezza.
Ma io dovevo portare a termine la missione con o senza Nick Kamen. Eh.
E ci sono riuscita. Riuscitissima. Sapete ora qual è il problema? Bravi, stirarli. Se ci penso mi appendo ai fili fuori per le orecchie, mi rinchiudo un dito nella portiera, mi affogo nella vasca da bagno. Non ho voglia, ma devo, devo farlo.
Voi l'avete fatto il cambio degli armadi? Sapete gestirlo bene? Obbravi. Allora datemi delle dritte.

p.s. Il libro sta andando benissimo, ci sono già delle belle recensioni, mi scrivono in privato per farmi i complimenti e tutto ciò è... inaspettatamente fantastico.
Grazie.



lunedì 25 febbraio 2013

Il primo lavoro








“Quanti anni sono che lavori?”
“Uhm...ventidue anni? Spè, forse ventuno...no ventitrè. Ma devo considerare il lavoro serio o proprio il primo lavoro? No, perché se si parla del primo lavoro avevo sedici anni, quindi son ventiquattro. Ventiquattro!Minchia una vita. Voglio andare in pensione.”
Il mio primo lavoro. Quello che mi ha fatto guadagnare i primi soldini, che quando li prendi in mano (i soldini) non torni più indietro, perché l'indipendenza economica dà alla testa.
Ed è inutile che io stia a dirvi che nei miei sogni di bambina io sarei diventata infermiera, astronauta, veterinaria, ballerina, chirurgo e via dicendo. Quando siamo piccoli ci si confondono i neuroni.
Il mio primo, primissimo lavoro, non ha niente a che fare con quello che so fare adesso. Che so fare...cioè, non è che per stare dietro a un bancone ci voglia chissà che. E' che accumuli esperienza e con quella vivi di rendita, diciamo. Insomma, le persone son talmente abituate a vedermi disossare prosciutti e vendere baguette che pensano che abbia cominciato lì. Se, figurati.
Nel mio primissimo lavoro disegnavo, e mi pagavano pure per farlo. Non è una figata? Sì, vabbè mi pagavano una miseria, però era ganzo. Disegnavo su corredini per neonati. Lenzuolini, bavaglini, federe, tutte disegnate da me con sti porcelli grassi e conigli saltellanti. La titolare dell'azienda che me li commissionava aveva anche un negozio di abbigliamento per baby e visto che ero parecchio estrosa, a volte mi chiamava per fargli la vetrina. Marò, è passato un secolo.
Il mio primo lavoro.
Poi vabbè ne ho fatti altri, così per racimolare. Tipo che stiravo a domicilio. E poi una si chiede come mai adesso odi tanto stirare.
E poi, per racimolare altri due soldini, consegnavo i certificati elettorali. Porta a porta. Mi son fatta delle vie e delle scale che se ci ripenso mi fanno male i muscoli.E quante porte chiuse in faccia. Ah ah. E quante mogli sgamate a letto con l'amante. Ah ah. Pure quello.
Che ricordi.
E poi niente, nella vita ho fatto altro. E va bene così. Iniziare presto mi ha dato l'indipendenza economica e vi posso assicurare che avere una mensilità quando sei così giovane ti fa per forza diventare responsabile, perché incominci ad amministrarteli bene, no? Cioè, io ce l'ho fatta, altri non lo so. Dall'altra parte mi ha tolto un'istruzione di base e rifartela da grande è più faticoso, però insomma si fa anche quella, eccheccevò.
L'ideale, come si dice sempre, sarebbe fare il lavoro per il quale abbiamo studiato ( e io, vista la mia strada,  direi che mi va di culo) e spero che per voi sia così, sarebbe proprio il massimo.
Però son curiosa di sapere qual è stato il vostro primo, primissimo lavoro, quello che vi ha fatto guadagnare i primi soldini,anche se fossero state le nostre care diecimila lire. E che lavoro invece fate adesso.
Sarebbe bello ricostruire il nostro percorso, nevvero? Non mi dilungo oltre, lo spazio sotto è per voi.

p.s. Un mongolino d'oro al lavoro più strambo. Perché uno di voi deve averlo pur fatto, no? :-D





giovedì 13 settembre 2012

La bimba Pecchè



Prima di leggere questo post, dovete leggere per forza questo.
Vi sarà tutto più chiaro.

“Afai?”
“Metto a posto”
“Pecchè?”
“Perché è arrivato un camion grosso grosso e ha scaricato tutti questi barattolini”
“Pecchè accaricato tutti quetti barattolini?”
“Perché abbiamo fatto un ordine” Aiutatemi.
“Pecché hai fatto un oddine?”
“Amoremiodolce, perché gli scaffali erano vuoti. A te piacciono gli scaffali vuoti?”
“Mmh...no”
“E infatti li sto riempiendo con questi barattolini”
“Pecchè?”
“Perché cosa?” esci da questo corpo!
“Pecché li metti così?”
“Ascolta e guarda bene. Non li posso mettere al contrario e nemmeno storti sennò cadono. E allora li metto belli dritti e in bella vista così la tua mamma, se ha bisogno, li vede bene e li compra. E non solo tua mamma, ma tutti i clienti che come voi vengono a fare la spesa.E non mi chiedere perché venite a fare la spesa, la spesa va fatta perché abbiamo bisogno tutti di mangiare.E non mi chiedere perché abbiamo bisogno tutti di mangiare, perché se vuoi vivere bene e felice devi comunque buttar giù qualcosa, chiaro?”
Lei si cheta, mi guarda come se fossi scema, come se tutto sto monologo alla Gassman non l'avesse manco impressionata e alzando gli occhi al cielo mi fa “E quindi?”
E. QUINDI.
Ho deciso, la adotto.






mercoledì 1 agosto 2012

Un futuro da negoziante



E ieri sera, in negozio, entra lui. Moro come piace a me, e con due occhi così scuri che sembrano due olive nere. E' pure abbronzato, e a me piace da matti. Subisco il fascino latino, che ci vogliamo fare?
“Ciao!” squittisco con l'espressione un po' scema.
Lui mi sorride ma non mi saluta, come sempre.
Gira un po' davanti al banco della frutta e, come suo solito, sceglie le noci. Le prende, le rimette a posto, le gira e le rigira. Effettivamente hanno un bel suono.Ed ecco che si rivela per quello che è: un uomo di spettacolo. Di quattro anni.
“Chi vuole un litro di noci? Chi le vuoleeeeeee???Signore e signori chi vuole un litro di nociiii???”
“Ehm, guarda che le noci vanno a etti, non a litri.E poi se vuoi fare tutta questa propaganda devi dire anche il prezzo, quanto costano”
Lui mi guarda con la testa di traverso e la paletta a metà.Adoro quando mi ascoltano.
“Quanto cottano?”
“Sessanta centesimo l'etto. Su, adesso sì che puoi chiamare gente.Vediamo che sai fare”
“Veniteeeeeeeeee!!!C'ho le nociiiiiiiii! Chi vuole UN LETTO DI NOCIIIII????”
Chissà che comodo il letto di noci.
Ho creato un mostro.

p.s. Altre castronerie dei pupi? :-D





giovedì 5 luglio 2012

UNA VITA DA MEDIANO




Se a me da bimbetta mi chiedevi “Cosa vuoi fare da grande?” io rispondevo “L'infermiera”
Poi dopo due mesi l'ostetrica, la veterinaria, la sarta, la gelataia e anche la commessa. Infatti come vendevo i sassi io, nessuno mai. Ore e ore a dire “Desidera?” ai miei amichetti e vai che ti incarto due fili d'erba che fungevano da asparagi o un pezzetto di legno a mo' di pane. Pensa te i casi della vita. Son commessa per davvero.
Tutti questo per dire che io ho sempre volato basso.
Ambizione, successo, questi sconosciuti.
Ovvio che come ho raccontato QUI, fare la commessa è stato un caso. Però un caso che mi ha permesso di essere economicamente indipendente a soli 17 anni. Quando dico economicamente indipendente intendo che disponevo di uno stipendio che mi permetteva di fare svariate cose e in più crearmi un gruzzolo.Ora non trovano lavoro manco i laureati, figuriamoci che culo ho avuto.
Quindi il mio essere semplicemente commessa (o bottegaia, come dice qualcuno) me lo tengo stretto.
Questo per dire che a volte mi sento un po' strana. Io sta smania di successo delle donne, non ce l'ho. Non ce l'ho. In nessun campo. Ma perché? Qualcuno me lo spieghi.
Probabilmente bisognerebbe scavare scavare e scavare ancora. E dire che di occasioni ne ho avute.
E non è che non mi metto in gioco, oh no. E non è nemmeno per la paura della sconfitta. Sconfitta de che? No. Io penso che principalmente siamo davanti a una sostenitrice del Macchimelofaffà.
Prendiamo ad esempio il lavoro.Poteva capitarmi di essere socia di un negozio, di avere un nome su un contratto e non era commessa, di avere un'entrata non indifferente, di avere qualcosa di mio, lavorativamente parlando.
Io ho detto no, non solo al colesterolo, ma pure a questa pseudofferta. Perché, se inizi un progetto del genere, è sicuro che da qualche parte e per qualcuno mancherai. Non voglio avere qualcosa di mio in questo senso se rischio di non godermi la mia famiglia, i figli, la casa, la gatta e tutto il cucuzzaro.Un lavoro sì, qualsiasi purché dignitoso, che mi permetta di confrontarmi, stimolarmi e concedermi pure qualche vizio. Trascurare il MIO (tutto compreso) per essere titolare di, non fa per me.
Prendiamo ad esempio la sfera creativa. Ho detto no a tre editori. Non lo sapevate?Essì. Per carità erano piccole/medie case editrici (con tutto quello che ne consegue, capiteammè) che hanno letto qualcosa di mio tramite concorsi, mi hanno contattato, mi hanno fatto la proposta e io ho rifiutato.
Per il semplice motivo che avrebbero speculato magari sui miei sogni/lavori/aspirazioni/creatività. Però sarei potuta andare in giro a dire “Ho pubblicato un libro!” “Sono una scrittrice!” Figo, vero? Voglio dire, avrei potuto farlo benissimo, ci mancava tanto così. Perché se hai culo mica ti chiedono come ci sei arrivata a pubblicarlo quel libro. L'importante è apparire, vantarsi, farsi grande. Poi il dietro (almeno in questo caso) sarebbe stato di un triste che non potete capì.
Prendiamo ad esempio i concorsi letterari. Anni fa partecipavo volentieri, fino a che non ho capito (per l'amor del cielo, mica tutti) che anche lì l'acqua non è molto limpida. L'assurdo è che l'ho scoperto a mio favore. Tipo che l'organizzatore mi chiama per congratularsi del mio primo posto. Ovvio che sono stata felicissima, davvero. Molto. E poi niente, durante il corso della telefonata, mi propone di partecipare anche al prossimo concorso. Io, dispiaciuta, ribatto che in quattro mesi non ce la faccio davvero a scrivere un altro romanzo, proprio no. E non avevo mica capito. E nemmeno voi, quindi vi riporto più o meno il suo discorso “Ma no, detto tra noi: lei non deve riscrivere il romanzo, cambia solo i nomi, qualche frasetta qui e là e il primo posto è suo. Visto che stavolta avrà la coppa, la prossima che facciamo, una targa? Dica lei cosa preferisce”
Primo posto annunciato, su circa 700 partecipanti. Voglio dire, avrei potuto farlo, il romanzo era già pronto, la targa, l'articolo di giornale e gli applausi mi avrebbero atteso. Che ganzata!Ma quanto mi sarei potuta vantare?Abbestia. Ecco, m'ha fatto talmente schifo che da quella volta lì ho smesso del tutto. Sono scema? Probabile. Perché magari mi perdo pure dei concorsi seri. Quattro mesi dopo ha vinto un'altra. Chissà che fine ha fatto ora.
Prendiamo ad esempio il blog. Questo blog è la mia valvola di sfogo, il mio pertugio, il mio diarietto che aggiorno quando ho tempo/voglia/ispirazione/cazzi&mazzi. Mi sono resa conto, nei mesi, che se vuoi un blog di successo ti ci devi smazzà. Ma da morire.Devi stare lì a ore, creare dei contenuti interessanti, non mollare la presa, mai.Gente che cerca i contatti giusti per fare i numeri, sponsor, collaborazioni, il tutto al limite della decenza. Gente che per accaparrarsi followers mangerebbe la propria nonna. Si fa per dire. Gente che ha decido di farci un lavoro (e le stimo), perché per stare dietro a un blog come si deve, davvero diventa un lavoro.
Ecco, io un lavoro ce l'ho già e il blog mi serve per avedere. E si vede. Soprattutto d'estate me la svigno che è una bellezza. L'estate chiama e io rispondo, sempre.D'estate non solo si boccheggia, ma si respira proprio un'aria diversa fatta di letture sotto l'ombrellone, cene all'aperto, vasche in piscina, gavettoni in giardino, giochi d'acqua in mare, passeggiate dopo cena e quell'impercettibile dilatamento della giornata che sembra non finisca mai. E mi ci entrano pure un sacco di cose. E' il periodo in cui la nostra famiglia (come credo le vostre) passa più tempo insieme. E io cestino. Cestino proposte, contatti, collaborazioni. Robe che magari mi farebbero avere anche più visibilità.In cambio di. In cambio del mio tempo per smazzare tutta sta roba. Perché devi stare lì, al pezzo. Dovrei farmi prendere da questa voglia di emergere, di sfondare, di essere al top.Dovrei dedicare minuti, ore delle mie giornate a cercare di lanciarmi, ore ad accanirsi per cosa, poi? Un blog? Rischio di perdermi un sacco di cose e il mio tempo non è in vendita. E' solo prezioso. Io ringrazio i lettori gli amici che mi leggono, che si aggiungono a queste pagine sminchiate, vi giuro vi bacerei in fronte uno ad uno. E ringrazio chi ha capito e accolto la mia vera personalità, perché questo blog non sarà figo, non emergerà mai, non farà dei numeroni, non avrà mai un nome altisonante, non sarà aggiornato con cadenza settimanale ma solo se la sottoscritta ne ha voglia, sarà dimenticato presto, ma una cosa ce l'ha. Il calore umano. Non solo quello fatto dai vostri splendidi commenti, ma quello creato fuori di qui. Perché spesso chi ha il bloggone, tratta tutti gli altri da lettori o semplici commentatori. Numeri.Talvolta nomi. C'è un certo distacco tra chi scrive e chi legge, una sorta di piedistallo in cui è facile salire, ma rischi che quando scendi, poi non trovi nessuno.Quella specie di regola 'Io Scrivo. Tu leggi'
Qui vige la regola: 'Io sono. Tu sei'. Con tantissimi di voi si è creata una rete che va al di là del blog, ma proprio fuori, roba che se lo racconti la gente non ci crede. Magari io non sono qui, voi non siete qui, ma io sono con alcuni di voi da un'altra parte, extra blog, extra internet. Siete nel mio telefono, nella mia casa, nel mio abbraccio, nella mia vita. Poi magari un giorno finirà tutto, magari si rivelerà tutto fittizio. E a quel punto, come faccio sempre, cercherò di trarre il meglio da questa vita da mediano.

mercoledì 20 giugno 2012

La mia è una missione



Ore 20.43 Luci mezze spente, vassoi coperti.
“Ma...state chiudendo?”
No, macchè, apro ora. E' il nuovo orario estivo. Apro alle 20.45 e tiro dritto fino alle 7 di domattina. Che ideona, nevvero?
“Chieda pure”
“Mi disosserebbe un prosciutto?”
Sì, se poi io posso disossare lei, e riempirla come un tacchino a Natale. Già che ci sono...lo facciamo?

Ore 20.57. Luci spente, scopettone in mano.Pavimento bagnato.
“Siete in chiusura?”
Tho!Ma è il fratello di quello di prima?No, perché siete dei geni in famiglia. Come ha fatto a capirlo? Davvero, io non ci sarei mai arrivata.
“Di cosa ha bisogno?” Un litro di latte? E' qui nel frigo.
Una mela? Prenda!Al volo!
Un pacco di biscotti? Ecco, sono lì.
“Dei panini ripieni”
Alle 9. Di sera. No, ma fijo mio, vatti a mangià na pizza!E' dalle 7.30 di stamani che siamo aperti e ti viene in mente adesso il panino?

Ore 21.00
Ne arriva nartro.
“Aspetti aspetti!”
E chi se move? Son talmente stanca che pare mi ci abbiano piantato in terra.
“Dica”
“Ha delle bibite fresche?”
“Certo!Nel banco frigo”
Il cugino degli altri due (no, perché dev'essere una famiglia) mi lascia tutte le impronte delle scarpe sul pavimento bagnato, manca poco mi ci balla pure il merengue, va davanti al frigo, non prende niente, gira il culo e se ne va.
“No, vabbè, non avete quello che piace a me”
Oltre alle sue impronte, ha rischiato che ci fosse anche la sua sagoma fatta col gesso, sul pavimento. Perché se non fa in fretta a salire sull'auto, avremmo avuto a breve la visita di un medico legale.

Io lo dico sempre: fare la commessa non è un lavoro, è una missione. Una missione importante.
Non me ne voglia la chiesa cattolica citata in tivù, ma invece di donare il tuo 8 per mille a Suor Maria che raddrizza i ragazzi in Brasile, a Don Francesco che ascolta i tossicodipendenti, a Chiara, che insegna in una scuola in Africa, donalo a Simona.
Dona il tuo 8 per mille a Simona, che sopporta una clientela al limite del fanculizzamento giornaliero, che mentre le nonne scelgono la frutta, intrattiene bambini talmente mocciosi da essere verdi tipo Shrek. Che elargisce sorrisi anche se nella nuvola sopra la sua testa c'è scritto “ASSORATA”, che ri-pulisce dove aveva già pulito per farti scegliere un aglio (uno) per la marinata, che deve rimettere a posto tutta la merce che pare mescolata da un pazzo orbo, che deve scaricare senza muletto un carico di settanta casse d'acqua. Che, nonostante tutto ciò, si deve sentir dire “A me urta la sua voce” e limitarsi a una battuta, piuttosto che spettinare la gentile signora con un rutto di 180 decibel.
Dona l'8 per mille alla comunità delle commesse di cui Simona fa parte, dai retta. Non abbiamo niente in meno di questi qua sopra.Anzi, semmai, in alcuni giorni abbiamo qualcosa in più: a volte un'aureola, altre volte delle palle che nemmeno sull'albero di Natale.
Donaci il tuo 8 per mille. Ce lo meritiamo.




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