Da dove nasce un post? Questo nasce da un evento accaduto sabato pomeriggio al mare. Nel pomeriggio l’altoparlante dello stabilimento fa questo annuncio : “Stiamo cercando una bambina di 4 anni di nome Francesca, che si è persa. Indossa un costumino rosa e al braccio ha un braccialettino di Hello Kitty. Chiunque la avvisti è pregato di riferirlo al bagnino o alla direzione”.
Tutte le persone presenti in spiaggia si sono guardate, chi sonnecchiava è stato svegliato e per qualche secondo tutti hanno alzato il capo come se la bambina apparisse di lì a poco.
Io ho elaborato questi pensieri:
-povera piccola
-chissà che ansia i genitori
-si prepari a prendere una bella sculacciata
L’ultima affermazione mi è volata nel cervello mica a caso o per battuta. Nella mia vita ho visto diverse scene di ritrovamento (menomale!) e la sculacciata c’è stata sempre. Fateci caso.
Penso che sia normale, cioè voglio dire, se tutti lo fanno credo che sia un comportamento istintivo A me non mi è mai capitato e spero non mi succeda mai, ma immagino che avrei la medesima reazione.
Una mamma o un papà che non trovano più un figlio vengono assaliti da puro terrore, una roba che ti fa perdere dieci anni di vita e forse anche più. Nei minuti in cui non lo trovi ti passano davanti le peggiori scene. E purtroppo può capitare. Non mi sento assolutamente di dire come qualcuno ha detto a volte accanto a me “Ma come fai a perdere un figlio? Dove stai con la testa? A me non succederà mai!”. Ragazzi, purtroppo in un posto affollato, può succedere, eccome. Proprio a un bimbo che era lì fino a un attimo fa. Un bimbo che si è distratto un attimo (ecchediamine è un bambino, metti che divaghi anche un po’ con la fantasia e si perda a contemplare quella nuvola che somiglia a un elefante in bicicletta), e il gioco è fatto. Anzi, il dramma. Penso che per il bambino stesso sia uno shock allucinante. Ma torniamo alla scena che ho visto più volte.
Vi racconto tre aneddoti (alla mia maniera, sennò ‘sto post sembra un articolo di Maria Rita Parsi de naottri)
Sabato scorso siamo stati a vedere uno spettacolo all’aperto, roba amatoriale in vernacolo pisano, in poche parole da schiantà dal ridere. Mentre siamo lì che strombazziamo insieme a un centinaio di persone, sentiamo un urlo. Ma non un urlo di paura, un urlo un po’ cantilenoso e si avvicina a noi una donna in preda al panico. Cammina veloce, le mani al volto e dalla gola le esce un lamento insano.Un pianto senza lacrime. Tutti ci voltiamo, un po’ sconcertati. La donna corre sotto al palco e comincia a gridare “Fermi! Vi prego fermi tutti!Aiutatemi!Ho perso il bimbo!Non lo trovo più!Aiutatemi!Oddiooooo!!!” E si è messa a correre in tondo non sapendo cosa fare. Intanto qualcuno le era dietro e cercava di calmarla ma lei ovviamente non capiva un cazzo, perché in quel momento mica ragioni. Gli attori si sono fermati e stavano per scendere per vedere di fare qualcosa, qualcuno si è alzato, tutti col fiato sospeso a vedere impotenti sta povera donna in preda al panico più totale. Dopo qualche minuto (che è sembrato un giorno intero) sbuca un ragazzino dal buio dietro al palco con un bimbetto di una decina d’anni. “Era andato dietro i palazzi, stavamo giocando…”
La mamma è partita manco le avessero messo un bengala a mo’ di supposta e appena è arrivata davanti al suo bambino…l’ha abbracciato? Manco per il cazzo. L’ha preso a schiaffi. L’ha abbracciato dopo, però.
Penso, ripeto, che tutto ciò sia quantomeno comprensibile, perché credo che una madre che si è vista passare nell’ultima mezz’ora le scene peggiori di suo figlio, la prima cosa che prova è:
-E’ qui. E’ sano e salvo, ringraziando Dio!
Ma subito dopo, passata la paura, arriva la seconda: accidenti a te, mi hai fatto prendere uno spavento orribile, guai a te se ti perdi di nuovo. E qui partono gli schiaffi. Che non è una violenza proprio verso il bambino, ma è una madre che scarica tutta la tensione su chi l’ha scaturita.
La terza: il bambino (che è pure spaventato) sicuramente piange già e spesso rimane sorpreso e sconvolto da una madre che invece di accoglierlo lo prende a sberle. Ma questo dura poco, perché la madre poi lo abbraccia e si mette a singhiozzare, gli accarezza il viso, lo tasta tutto per vedere se è intero e gli dice singhiozzando “Non piangere. E’ tutto passato. Ti voglio bene amore mio”
E’ successo anche a mia madre. Con mio fratello.Te pareva?
Dovete sapere che noi abitavamo in una casa che si affacciava in un cortile piccolo e stretto, mentre mia nonna, che abitava dall’altro lato della strada, aveva un bel cortilone grande e assolato. Se volevi giocare a pallone dovevi stare da nonna, perché da noi bastava un rimbalzo del pallone sul muro per ritrovarti la palla in bocca. Na tragedia.
In un pomeriggio d’estate eravamo tutti da nonna a prendere il caffè (a dire il vero loro, perché io avrò avuto dodici anni e mio fratello sette). Mio fratello (che se io di nome faccio Rinco, lui fa Deppiù) cominciò a dire “Mamma vado a prendere il pallone”
“Stai attento alla strada”
“Sì, mamma”
“Guarda bene a destra e sinistra prima di attraversare” ( n.b. anni ’80 strada così trafficata che tra una macchina e l’altra ci potevi fare un set di pallavolo, ma tant’è)
“Sì, mamma!”
“Non dire sì mamma!Guarda bene , che è pericoloso!”
“Uff!”
Mio fratello esce e tempo dieci secondi BOOMM!! Un botto. A tutti è andato il sangue ai piedi, usciamo sconvolti immaginando mio fratello preso in pieno da una macchina. In effetti la prima cosa che vediamo è il sandalino rotto di mio fratello sull’asfalto.E lui no. Ecco, son passati tanti anni e io lo ricordo come se fosse ora. Mio padre e mia madre irriconoscibili dall’orrore. Arrivati sulla strada ci accorgiamo che la botta non era altro che un volo stratosferico di una coppia in Vespa che vedendo sgusciare mio fratello all’improvviso si erano spaventati e per non prenderlo in pieno avevano sterzato ed erano caduti. Nella caduta avevano colto in maniera lieve anche mio fratello che aveva perso il sandalino. Morale: tutti bene, solo un grande spavento. Ma quello lo abbiamo appurato dopo. Dopo che mia madre, avendo visto mio fratello vivo e vegeto sul marciapiede, lo ha preso a sculaccioni, roba da alzarlo quasi da terra. Roba che mio padre gliel’ha levato dalle mani. Lo sculacciamento probabilmente recitava “Ti avevo detto di stare attento STOP Non hai guardato bene STOP e non dirmi sì mamma e poi fai come ti pare STOP sono mezza morta dallo spavento STOP poteva succedere una tragedia STOP”. Effettivamente anche io ci rimasi male, perché da mamma non me l’aspettavo, anzi pensai “Secondo me è incazzata perché deve ricomprargli i sandalini!”
Poi mamma l’ha abbracciato, accarezzato, ripetuto a loop “Stai bene, ti sente niente, hai qualche dolore, hai picchiato la testa, ti viene da vomitare? Dillo a mamma”
Mio fratello per paura di sbagliare anche la risposta ( e prenderle di nuovo) diceva no a tutto!
Poi mia madre se l’è preso in braccio e ha pianto. Tanto.
Ci sfugge qualcosa? Sì, i porelli in Vespa (una giovane coppia, con lei fresca fresca di maturità) Siamo negli anni ’80, strade di campagna, famiglia umile di nonni contadini. Mica si chiama l’ambulanza, no. Si fanno accomodare e gli si offre un bicchierino di cognac, per lo spavento. Nonno offrì anche il vino appena infiascato perché, insomma!, alla fine poi stavano tutti bene. A parte un grande spavento, qualche livido, e la Vespa un po’ ammaccata. C’è mancato poco che finivano tutti ‘mbriachi abbracciati a ballare la danza di Zorba il greco sotto il sole d’agosto.
A me invece è successo il contrario. Io ho trovato un bimbo. Un bimbo che si era perso.E dove lo trovo? In un posticino un po’ affollato, naturalmente.
La sagra della porchetta? Troppo facile.
Alla festa dell’Unità? Trovare la madre sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Dove te lo trovo ‘sto bambino sperso?
A Disneyland Paris.
Probabilità di trovare i genitori? Sotto zero. Sarebbe stato più facile farsi dare il numero privato di Carla Bruni e farsi mandare un elicottero. Per vedere se fra tante capocce si vedeva sua madre, mica per altro. E ciliegina sulla torta, te lo trovo italiano?
Mannò!
Francese.
Ma forse è meglio se vi spiego tutto dall’inizio.
Io, Andrea e Alice siamo comodamente seduti sul muretto del castello di Aurora. Aurora non è un’amica mia, ma la bella addormentata. Non siamo lì che aspettiamo Aurora che scenda per venire con noi a fare l’happy hour, ma stiamo aspettando la parata dei carri. Davanti a noi gli steward e gli addetti che con una pazienza da monaci tibetani cercano di far assiepare la gente ai lati. C’è qualcuno che chiede anche perché. Signora, vuole rimanere in mezzo alla strada così il veliero di capitan Uncino la prende in pieno? Si metta bene in centro allora, così la centrano per bene e le facciamo fare la polena.D’accordo?
Non potrei mai fare quello che cerca di convincere la gente a mettersi ai lati della strada per godersi la parata. E per non rompere le palle. Mentre siamo lì che guardiamo ammirati uno steward di colore che srotola la corda di contenimento (so che sembrano discorsi sminchiati ma chi c’è stato capisce al volo e chi non c’è stato è troppo intelligente per non capire. Mica siete me!), io e Andrea notiamo un bambino di circa 7 anni, con la spada dei pirati che piange e gira su se stesso dicendo “Memon!....Memon!..”
L’ho scritto come lo pronunciava ma era chiaro come il sole che cercava sua madre. Lasciamo che la madre arrivi a lui. Cioè, sarà lì a due passi, dove vuoi che sia?
Al terzo Memon! Io e Andrea ci guardiamo ed esclamiamo all’unisono “Vai! S’è perso!”
“Voi restate fermi qui, vado io!” Dio, come mi sono sentita coraggiosa! Ma c’è una ragione ben precisa. Se ci muoviamo in tre colcazzo che ci fanno passare, la sfilata dei carri sarebbe passata a breve e mi dispiaceva che Alice non riuscisse a vederla e loro due fermi in quel punto io li ritrovo, sennò ci mischiamo al marasma di gente e ci perdiamo tra noi. Li ritrovo….certo che li ritrovo!
Scendo al volo dal muretto, roba che se mi vedesse il principe Filippo, altro che Aurora, mi battezza Alba, mi carica sul suo cavallo e mi porta via con sé al grido di “A saltare i muretti sei più brava tu di Nino Castelnuovo!”.
Mi avvicino al bimbo sfoderando un sorriso a cinquantasei denti, così per tranquillizzarlo, ma ho paura che si spaventi e mi dia una sciabolata sulle gengive.
“Ciao!”
Lui piagnucola “Memon!...”
Senti bimbino, io sono qui per aiutarti, cerca di collaborare, va bene? “Hai perso la memon? Tranquillo, ora la troviamo, d’acord?”
Il bambino mi guarda, annuisce e l’idea che pensi “Chi è ‘sta cretina?” è molto forte.
“Io sono Simona. SI-MO-NA. D’accord? Tu com ti chiam?”
Il bambino, con due splendidi occhi grigi, mette la testa di lato e non parla.
Cioè, bimbino, il mio è un francese perfetto, no faccio per dirlo. E’ impossibile che tu non capisca.
Provo allora a mimarlo “IO- SONO- SI-MO-NA!!” Accidenti come sono ridicola. Gli altri stanno vedendo una donna che fa gesti come uno scimpanzè eccitato davanti a uno specchio. Proviamo con l’inglese “Uoz ior neim?”
Niente.
Proviamo con gli indiani d’america. Mi batto sul petto quasi a sfondarmi lo sterno e tuono “IO SI-MO-NA!” poi batto sul suo cuore “TU…?”
“Elie” fa lui timidamente.
Mi ha capito!Se parlo come toro seduto mi capisce!Elie! E ci voleva tanto? Ma allora dillo subito che sei figlio di Balla coi lupi e Canta coi tori!
Sono felice. Io e Elie ce la faremo. Lo prendo per mano e gli dico “Ci penso io! Vieni con me!”
Lui mi dice qualcosa in francese ma io ovviamente non capisco una beata minchia, ma non importa, ora è al sicuro. La prima cosa da fare è andare da un addetto ai lavori. Prima c’era pieno di steward, adesso non c’è più nessuno. Dove sono finiti?Scavalchiamo la corda e ci incamminiamo verso un chiosco che vende i gelati e le mele caramellate (na goduria!) di Biancaneve. Lì mi attende una signorina dai tratti asiatici. Bingo. Come ci devo parlà con questa? Devo sapere il cinese?
“Scusemuà signorì…ehm…bambino…garson..piccirillo insomma si è perso…”
Lei mi sta guardando come se avessi un pellicano che mi balla la samba in testa, e io mi chiedo Perché? lei strizza gli occhi e stropiccia la bocca come per dire “ A parte che sai il francese come io so cucinare la coda alla vaccinara, ma mi sembri alquanto idiota”
“Lui cerca Mamon. Ma io non sono sua Mamon! IO-NO-MAMON-SUA!!Mamon, mamon, mamon, sta addì sto povero bambino, ma io non mamon! Elie, diglielo anche te che non sono tua mamon, sennò pensano che voglia sbarazzarmi di mio figlio ficcandolo nella celletta frigo di questo cazzutissimo chiosco!!!!”
Elie si attapira giusto un attimo E credo stia pensando “Non solo sono disperato perché mi sono perso, ma ho avuto la sventura di incappare in questa rincoglionita! Di male in peggio!Aiutatemi”
La cinesina, o giapponesina, indiana, peruviana o di dove viene (non sono mai stata brava a individuare i tratti somatici) a quel punto fa un gran sorriso ed esclama un internazionalissimo “Aaaahhhhhhh!!!!” che equivale a dire “Ho capitooooooo!!!”
Mi pare di aver sentito Elie sussurrare in francese “Sono salvo!”.
Lei a quel punto si rivolge a lui e i due parlottano in francese. Dio, come mi sento esclusa!
Mulan de noiattri a quel punto, da sotto il banchino, tira fuori la mappa del parco e ci indica uno stabile con un numero, dice qualcosa a Elie e lui in quel momento mi stringe più forte la mano.
Che emozione! Sicuramente gli avrà detto “Non potevi capitare in mani migliori!Questa donna è strameravigliosa!” Sì sì, gli avrà detto così. Io e Elie capiamo che ci dobbiamo recare a uno stabile di fianco a Main Street. Perché io non ho visto tutto ciò? Ce l’ho anch’io la mappa, ma non ho visto niente. Già, perché la mappa quando va tutto bene la consulti solo per le attrazioni, mica guardi le altre pagine…
Tiro fuori la mia e scopro solo a quel punto che l’opuscolo lo diceva chiaro.Per evitare scene di panico e non allarmare i visitatori non fanno annunci.C’è scritto che se trovi un bambino o cerchi il tuo bambino devi recarti a quell’edificio. Lo troverai lì. E’ un punto di incontro tra i bambini sperduti e i genitori sconvolti.
Se trovi un bambino che si è perso, portalo al centro 17. Prima o poi i genitori arriveranno.
Se hai perso il tuo bambino, vai al centro 17. Prima o poi qualcuno te lo riporta.
Se hai 14 anni e stai scappando dai tuoi genitori non ti conviene passare vicino al centro 17. I tuoi genitori potrebbero essere lì.
A pensarci bene è una genialata. Niente annunci, più controllo, meno panico, ( a meno che non te l’abbiano rapito, ma con la sorveglianza che c’è dubito che un bambino strillante con un genitore non suo possa passare inosservato), ma una sorta di stanza adibita a parco giochi, dove tu ti rechi se hai perso tuo figlio. Anche perché l’alternativa sarebbe girare per tutto Disneyland con miliardi di persone intorno a te. Roba che anche se ti passa accanto George Clooney non te ne accorgi.
Bè sì, forse George Clooney te ne accorgi.
Fatto sta che io e Elie (ormai amicissimi) entriamo in questo edificio dopo aver fatto il tragitto con io che cerco di intrattenerlo e farlo ridere. Vabbè per ridere basta guardarmi, ma io ci aggiungo qualche linguaccia e canto una canzoncina. Così non pensa che ha perso momentaneamente la sua mamma. Elie non risponde manco una volta alle mie linguacce buffe, però mi guarda. Chissà che pensa, porello.
Ad accoglierci c’è un ragazzo biondo “Mio Dio fa che non sia svedese, ti prego.” Infatti sul cartellino invece di Sven c’è scritto Marco. Sìììììììììì!! In effetti Marco è un nome fittizio perché onestamente il nome vero non me lo ricordo, ma era italianissimo!
“Salve!”
“Salve!”
“Meno male sei italiano!”
Lui sorride. “Sai come si chiama?”
“Elie”
Cioè, tutto normale, io sono lì perché ho trovato un bimbo. ‘sta cosa mi inquieta non poco, però.
Lui si rivolge a Elie in un francese perfetto e devo dire che un po’ di invidia me la fa, soprattutto perché Elie gli risponde. E’ il mio bambino!L’ho trovato io! E me non mi capisce!
“Lascialo pure qui. Grazie mille”
Come lascialo pure qui? Qui dove? Dove sono i suoi genitori?
Marco vede che io non lascio la mano al bambino. “Lascialo qui” ripete “Arriveranno i suoi genitori”
“Sei sicuro?” stavo per aggiungere ‘Sennò lo tengo io’. Mio padre ha sempre sostenuto ‘Dove si mangia in tre si mangia anche in quattro’!
“Certo! Siamo organizzati e preparati. Qua ogni dieci minuti si perde un bimbo. Guarda”
Mi fa voltare…ecco sì, gli credo. In una saletta piena di giochi e palline colorate ci saranno stati una dozzina di bimbi con una signorina con un naso rosso e degli occhiali neri giganti. Sembra si stiano divertendo, sono tranquilli, stanno giocando e…stanno aspettando mamma e papà.
“Ah okay…”
Lascio a malincuore la mano di Elie mentre l’addetto apre il cancellino.
“Trattamelo bene” dico con un po’ di magone.
Elie mi guarda e indugia, fa tre passi avanti, poi torna indietro e mi dà un bacino.
“Puoi dirgli che è stato un piacere e un onore conoscere un pirata come lui?”
Marco traduce e lui mi sorride. Un sorriso un po’ sdentato e lentigginoso. Poi entra e mi fa ciao ciao con la mano. Torno dalla mia famiglia consapevole di aver fatto una cosa naturale, che avrebbero ovviamente fatto tutti, ma che mi ha fatto bene. E chissà se Elie, quando sarà grande, si ricorderà di quella donna buffa che faceva le linguacce, ma soprattutto, che non ha mai lasciato la sua manina.