venerdì 23 maggio 2014

Suor Cristina: per me è NO.

                                                        Foto: http://www.vanityfair.it/

Premetto che sono battezzata, comunicata, cresimata e che ho sposato in chiesa.
Non vorrei che quello che sto per dire venisse scambiato per un'accusa verso la chiesa, che rispetto moltissimo, ma la mia domanda è:
Che minchia ci fa ancora a The Voice Suor Cristina?
No, perché io non mi capacito.
Al di là del personaggio “Oh sì, ganza!”, “Sister act de noattri è proprio forte!”, e “Ci voleva in questo momento un personaggio del genere”, lo vogliamo ammettere o no, che Suor Cristina ha una voce e un modo di cantare che l'avrebbero scartata pure al concorso canoro della Sagra della Porchetta?
Ah sì, premetto anche che non mi intendo di musica e probabilmente questi miei dubbi sono nati dalla mia ignoranza in materia.
Devo ammettere, senza vergogna alcuna, che la prima volta che Suor Cristina è apparsa a The Voice a me è piaciuta un mucchio. Vuoi il coraggio, vuoi la novità, vuoi l'effetto mediatico non indifferente, vuoi il fatto che sì, una suora che canta a The Voice è forte.
Però già dalla puntata dopo, ho capito che “Sì, apprezzo l'impegno, ma ciccia, non ci siamo.” Ha una voce a tratti flebile, a volte stona anche un po', una voce anche scontata e per nulla particolare se vogliamo, ma chissà perché è in finale.
No, vabbè, si sa perché. Perché se l'abito non fa il monaco, la toga fa una cantante.
È chiarissimo che se la Cri è arrivata fino a questo punto è grazie all'abito talare. Non cercate di convincermi del contrario perché è fiato sprecato. Utilizzatelo magari per gonfiare i palloncini che andrete a sventolare nello studio quando si esibirà la prossima volta.
Non ho nulla contro la chiesa, i preti, le suore, ma sono contro qualsiasi forma di paraculismo.
Perché qui c'è del paraculismo all'ennesima potenza. E quello che mi fa incazzare è che cercano di convincerci che va avanti perché merita, perché è una voce fuori dal coro, lo stesso coro che magari l'ha scartata per anni visto che per arrivare alle note alte deve prendere una scala da pompieri.
E non è manco colpa sua. Che colpa ne ha lei se J-Ax la porta avanti?
Che colpa ne ha se la gente da casa la vuole vedere ancora su quel palco a sgambettare con quelle scarpine nere raso terra?
Nessuna. Si gode il momento e Amen, è proprio il caso di dirlo.
Riguardo al suo motto “Ho un dono e ve lo dono” vorrei dire a Suor Cristina “Grazie, ma ne farei anche a meno.” Perché non è tutto sto granché, anche se a caval donato non si guarda in bocca, per carità. Però se vuoi donare qualcosa di grande ne devi essere all'altezza, capisci?
Tipo che se sto motto lo fa suo Rocco Siffredi, è un'altra storia. È credibile. E meno male che lo dona, perché se lo facesse pagare a peso, sarebbe un casino.
Ovviamente, come tutti noi sappiamo, la scelta di mandare avanti la Cri è dettata dall'audience, dalla produzione, da cosa si fuma J-Ax, dalle regole a noi sconosciute della televisione, dai segnali che arrivano dall'alto, da che tempo farà domani, da una telefonata di Papa Francesco, dalla Cia, dal KGB, da una decisione di Peppa Pig...insomma, le vie del Signore sono infinite. E lei, è chiaro, che ha intrapreso una scorciatoia. Perché se quando ancora non era suora non è stata presa ad Amici (e quello Crì, lasciatelo dire, poèsse una fortuna), X Factor, castrocaro, sanremo giovani, concorso 'voce dell'anno' della parrocchia di Caltanissetta, gara canora delle scuole elementari di Mazara del Vallo e non ha vinto manco un premio come miglior voce esibita sotto la doccia, un motivo ci sarà.
Sennò a quest'ora sarebbe già stata notata, sarebbe una cantante di un certo livello, e non una suora che grazie all'abito talare arriva in finale a The Voice nonostante una voce mediocre.
Che poi noi italiani ci lasciamo trasportare dall'entusiasmo, dalla novità, ma già in passato qualcun altro aveva calcato il palcoscenico bensì fosse un uomo di chiesa: Fra' Cionfoli.
Frate Cionfoli, m'arrivò solo quarto in quel Sanremo dell'82. Ed era giusto così. Poi vabbè, lui c'ha preso gusto, si è sfratato e tutto è cambiato.
Vorrei ribadire che io non ce l'ho con Suor Cristina, ma vorrei dirle due cosine:
“Cara la mia Cri, sono contenta che tu abbia coronato il tuo sogno di esibirti e cantare davanti a un grande pubblico. Sono contenta che tu ritenga (con un filino di presunzione da parte tua ma tant'è,) che donarci il tuo dono sia fondamentale per la nostra esistenza. Sono contenta che stai dimostrando che tutto è possibile, che è bello poter lanciare messaggi positivi sulle note di No One di Alicia Keys. Sono contenta per te, ecco. Per me, per noi, un po' meno. Perché quello che ti sta accadendo è la prova che si arriva con scorciatoie, per raccomandazioni, e che la meritocrazia è una parola che si trova solo sul vocabolario e che è difficile, se non impossibile, vederla mettere in atto in Italia. Anche in una ininfluente gara canora. Se tu volessi veramente lasciare il segno dovresti dimostrare di possedere quella carità cristiana di cui vai professando, quella carità che può raggiungere anche il sacrificio di sé stessi. Come nostro Signore ci insegna, e tu sai bene, dovresti dimostrare umiltà in quello che fai, riconoscere e ammettere che immeritatamente sei dove ti trovi. Ma non vediamo in te questo messaggio. Se tu fossi veramente grande, grandissima, ti ritireresti dalla gara per permettere a chi è più talentuoso di andare avanti, come è giusto che sia. E ti opporresti al gioco dell'audience, alle scorciatoie, al percorrere la via più facile, alla gloria di un programma tv, agli applausi, in nome di quella umiltà che a quanto pare ti manca. Sei brava Cristina, e non discuto il tuo percorso di vita e spirituale. Sicuramente dimostri una grande forza, un grande carattere e un grande spirito di condivisione che ti suggerirei di spostare in altri luoghi dove davvero puoi essere la numero uno. Ma non in una gara canora come The Voice.
Il settimo comandamento recita: non rubare.

Che sia una mela o il primo posto di un podio, non fa poi molta differenza.”



giovedì 22 maggio 2014

Lo amo perché

Perché fa le uova al tegamino più buone del mondo. Il fatto che sia un Homo Orbus e non trovi mai il tegamino è solo un dettaglio.

Perché sa mantenere la calma laddove io prenderei a sprangate il primo che passa.

 Perché ha le spalle larghe e un petto sempre pronto ad accogliermi, anche quando stanno trasmettendo la Champions. Il fatto che mi dia una capocciata durante l'esultanza di un goal, è un rischio che corro molto volentieri.

Perché sulla sua scrivania al lavoro non ha una mia foto, ma tutti i regalini che gli faceva Alice da piccola.
Praticamente riceve giapponesi con le sorprese dell'ovino kinder in bella vista.

Perché si dedica alla casa e al giardino con entusiasmo e volontà. Mi stermina le violette col tosaerba ma a dire il vero non mi sono mai piaciute molto. Crediamoci tutti insieme. Amen.

Perché mi conosce meglio di quanto io conosca me stessa. Ad esempio sa dirmi quanti giorni mi mancano dal ciclo solo vedendo come mi accanisco con la mannaia su un innocente petto di pollo. È un grande conoscitore della sindrome premestruale.

Perché se vado dal parrucchiere e cambio  taglio e/o colore, se ne accorge. Ha un che di miracoloso, lo so. Aspettiamo solo che sto miracolo venga riconosciuto dalla chiesa.

Perché pretende di guidare quando andiamo in auto. Lui fa la sua parte, sempre. Okay, ritiene che la mia guida sia sicura come farsi scoppiare un petardo in mano, ma voglio credere che sia galanteria.

Perché durante il corteggiamento, molti anni fa, mentre tutti i ragazzi facevano i bulli, lui mi ha scritto una lettera piena d'amore e di ironia.

Perché è un uomo concreto che non messaggia come un bimbominchia, che non wuozzappa, che non feisbucca, che non twitta, ma se c'ha da dirti una cosa alza il telefono. Tanto ci penso io a fare tutte ste cose in modo compulsivo.

Perché cura la sua persona ma non si depila, non si increma, non si fa le sopracciglia e non si improfuma con betoniere di dopobarba. E non si incazza quando trova il suo rasoio con i miei peli.

Perché mi presta le sue magliette, il rasoio di cui sopra, i suoi guanti da lavoro, le sue ciabatte (che dopo che le ho usate io non le trova più), e la sua attenzione. Sempre.

Perché mi permette di scaldare i miei gelidi piedini dentro le sue cosce, di svegliarlo accoccolandomi a lui perché ho freddo anche se è già in fase rem, di scoprirlo con movimenti inconsulti anche quando ha la febbre.

Perché se io vado a letto prima, lui fa tutto pianissimo per non svegliarmi.

Perché se va a letto prima lui, mi perdona il fatto che faccio così piano che pare stia entrando una fanfara in camera da letto.

Perché non si infastidisce quando vuole leggere un libro e io gli soffio sulle pagine per girargliele.

Perché si lascia tagliare i capelli da me dicendomi "Sono perfetti!" per poi scoprirlo fare le smorfie allo specchio. Questo è il prezzo da pagare per avere la parrucchiera a domicilio.

Perché non mi dona fiori ma opere di pene.

Perché guarda le altre donne in mia compagnia. Mi preoccuperei se non lo facesse. Non fidatevi di uomini che non guardano un'avvenente gnocca in minigonna: o sono uomini zerbino che hanno paura della reazione della compagna (e di un uomo così non saprei veramente di che farmene), o hanno la stessa quantità di testosterone di Roberto Bolle. Un uomo ha da guardà. Poi per non morire si deve fermare lì, ma questo lo sappiamo tutte.




lunedì 12 maggio 2014

Il Jane Austen tea Party

 


Come avrete notato sono stata un po' assente. Ma solo perché c'avevo da organizzà un evento.
A casa mia.
Nel mio giardino.
Circa una quarantina di persone invitate.
Con l'idea di fare tutto da me.
In poche parole: volevo morire di morte lenta e dolorosa.
Invece è stato un successone.
Ma partiamo dall'inizio.
Io, il Santo e Alice da non molto partecipiamo ai Tea Party organizzati e curati da Annie (la sua insegnante di inglese) e Bruna, sua amica da una vita, nonché donna con forte spirito organizzativo.
In parole povere (detto anche 'ma parla come magni') chiunque voglia promuovere la cultura inglese e/o condividere qualsiasi forma d'arte (che può spaziare dalla scrittura alla letteratura in generale, dalla pittura al corso di ceramica, e chi più ne ha più ne metta,) può chiedere di organizzare un Tea Party. Tu metti a disposizione la location ed eventualmente cosa vuoi promuovere e loro organizzano il tutto.
In occasione dell'ultimo tea party ci è partito l'embolo.
“Sentite Bruna e Annie, pensavo: io e il Santo vorremmo...come dire...be' sì, fare un Tea Party nel nostro giardino, che dite?”
“Perfect!”
“Fabulous!” queste già mi partono con l'inglese che come sapete mi vien facile come tenere un discorso sull'astrofisica.
“Vuoi promuovere il tuo libro?”
Il mio libro? Ah sì, ho scritto un libro. E quindi presa dall'entusiasmo ho risposto “Ma anche no!”
“No?”
“Ma noooo! Ma vi pare che invito gente a casa mi per parlare del mio libro? Piuttosto potremmo far vedere le foto dei nostri viaggi in Inghilterra, quando siamo stati a visitare i luoghi di...”
“Jane Austen!”
Lo abbiamo detto all'unisono. Un lampo, un guizzo, un'idea geniale presa davanti a un tè con intorno decine di persone, ma in quel momento c'eravamo solo io, Andrea, Bruna e Annie.
L'idea ha preso forma in una maniera allucinante e Andrea (sicuramente sotto l'effetto di psicofarmaci) ha proposto: “Sarebbe bello accogliere gli ospiti in costume”
In costume?
Lì per lì ho pensato volesse fare il remake di Baywatch e già stavo telefonando a un chirurgo plastico per rifarmi una quinta di tette, (perché è l'unica cosa che mi differenzia da Pamela Anderson, poi per il resto siamo ugualissime, sia chiaro.) Poi mi son detta: non può essere quel costume perché noi non abbiamo manco una piscina e sinceramente non so se reggerei di vedere il Santo con la capigliatura di David Hasselhoff.
“Costume di quei tempi???”
“Sì, ma forse non è una buona id...”
“Ma è fantastico!!” troppo tardi, ciccio. Ormai è andata. Lo sai che se mi metti in testa una cosa la devi considerare già fatta e non puoi tornare indietro. Tipo quella volta che mi hai detto “Potremmo sposarc...”
“Ho già chiamato il prete. C'aspetta il 27 settembre alle quattro. Puntuali.”
Insomma, per farla breve (ma breve non sarà) la location per il Jane Austen Tea Party è stato il nostro giardino e son partiti i preparativi da parte di Annie e Bruna. Ma anche noi ci abbiamo messo del nostro, troppo facile chiedere alle Tea Ladies 'ok fate tutto voi'. Io non ci riesco, devo essere parte attiva, mettere le mani in pasta e ficcare il naso in tutto. Immaginatemi a ottant'anni, gobba e curiosa che spettegolo sui vicini. Ma non sono adorabile?
Abbiamo proposto a tutti di venire vestiti in costume e ho temuto risposte tipo:
“Piuttosto mi rinchiudo le dita nello sportello del suv.”
“Piuttosto organizzo una crociera di tre settimane solo con mia suocera”
“Piuttosto mi prendo a martellate le gengive.”
Invece via, anche se all'inizio quasi tutti hanno detto “Ma sei pazza? Assolutamente no!” poi è andata bene. Non so, forse trascinati da me, dal mio entusiasmo, dalle mie doti di convincimento o dalle mie minacce, ci hanno ripensato. E non solo hanno accettato ma son volate frasi come:
“Oddio non ho il vestito adatto!Devo ASSOLUTAMENTE trovarlo!”
“Presto! Un cappellino e un ventaglio!”
“Se non trovo il vestito piuttosto non vengo. Voglio vestirmi!”
“Se riesco vengo in carrozza!”
Insomma la voglia di vestirsi si è allargata come un virus e ha contagiato un po' tutti. E chi non era vestito quasi si è sentito più a disagio di chi lo era. E ho detto tutto.
Il mio vestito e quello di Alice, manco a dirlo, me li ha fatti quella santa donna di mia madre che, armata di foglio e lapis, si è fatta uno schizzo degli abiti visti su internet con una tale scioltezza che sembrava un pittore francese a Montmatre. Taglio qui, cucio là, stringo qui, allargo là, fai na giravolta falla nartra volta, tho! Eccoti il vestito. Ualà, eccheccevò? Valentino ha da tremà.
Andrea, il mio amatissimo Darcy, l'ho rivestito io acquistando una camicia pescata con una botta di cu fortuna, trasformandola (quando si dice avere l'occhio lungo) in una camicia d'epoca, e anche il resto è stato riadattato e convertito. Perché comprare o noleggiare tutto sarebbe stato troppo facile, nevvero?
Con le Tea ladies abbiamo deciso l'apparecchiatura, la scenografia, mi hanno proposto delle cose fighissime che noi abbiamo accettato e io ne ho proposte altre che loro hanno accolto con entusiasmo. Ho/abbiamo cercato materiale, fatto foto, stampato roba, scovato oggetti. Siamo una squadra fortissimi, non c'è che dire.
Alle quattro era tutto pronto. La mia camera da letto era stata adibita a camerino/guardaroba e pareva di essere dietro le quinte di un teatro. Cappellini, ventagli, guanti di pizzo e donne sull'orlo di una crisi di risate. Non ci siamo fatte prendere nemmeno dall'isteria allo strappo di un nastro o al salto di un bottone, perché avevamo la costumista: la mi' mamma, che armata di ago e filo e una pazienza che manco Giobbe, ha risistemato vestiti e cappelli in fase di vestizione.
Io ero pronta ad accogliere tutti con la classe e la finezza tipica di quei tempi.
“Signoraaa!!! ma che piacere!! venga!Attenta allo scalino che sennò mi si pianta nella siepe!”
“Salve!!sono Simona, la padrona di casa!Ti piace il vestito? Lo so pare una camicia da notte, mi ci manca il pitale e poi siamo a posto. Gradisci un biscottino?”
“Ciao!Ma che bello questo fiore! Ho sempre amato le camelie!Ah. È una petunia. Certo. - da segnare sull'agenda: fare un corso accelerato con Luca Sardella- Ma grazie!”
Annie e Bruna si sono mosse come formichine laboriose destreggiandosi con gli interventi, il catering, l'intrattenimento e un certo aplomb inglese che da me ovviamente non sarebbe mai arrivato.
Andrea invece è stato un perfettissimo Darcy, non solo per l'aspetto e le basette lunghe ma si è prestato a qualsiasi cosa la mia mente contorta gli abbia suggerito, senza fare una piega. E, conoscendo il suo carattere piuttosto schivo e concreto, direi che stata una dimostrazione d'amore più di un anello, più di una serenata, più di cento tavole sparecchiate. E se era già Santo e Beato, dopo questa cosa  lo trovate alla destra del Padre.
Alice invece ha aiutato fin dalla mattina, ha trasportato sedie, chiuso e aperto tavolini, aiutato ad allestire i drappi sulla siepe, pulito, apparecchiato e sparecchiato con una cura fantastica. Ci teneva più di me che tutto fosse perfetto, e quest'ansia le ha fatto avere uno scatto isterico di circa cinque secondi in cui ho temuto che mi si trasformasse nella bambina dell'esorcista. Poi è entrata totalmente nella parte, al punto che ieri sera mi ha detto “Madre, io mi ritiro nella mia stanza. Voi quando vi coricate?” Io ho preso il pitale di cui sopra e l'ho seguita.
Gli invitati all'evento sono stati fantastici, si sono lasciati travolgere e non sconvolgere dalla pazzia della sottoscritta e hanno scattato credo 9876 foto a testa. Tutto per poi ricattarmi, sono certa.
Roba che se questa cosa arriva agli assistenti sociali, ci levano la figliola.
Roba che ho sentito mia madre rispondere alla domanda 'ma quella è sua figlia?' “Chi, quella che sta correndo sguaiata reggendosi il vestito e che, ommioddio! ha appena detto una parolaccia? No no, non so chi sia...”
Roba che, dopo questa performance, ho un futuro. Sì, alla neuro.
Ci sono state tante risate, interventi interessanti, miliardi di foto e un divertimento unico, coinvolgente e sì, pure godereccio. Il banchetto del cibo era strafavolso con dolci uno più buono dell'altro che, per inciso, sono stati portati dagli invitati. Ognuno ha avuto una parte, un ruolo e tutti hanno partecipato entusiasti. Non solo: era presente la sorella di Greta Scacchi, l'attrice, che saputo della cosa è stata lietissima di partecipare e ha pure usato il mio cesso! e un operatore di un canale della tv regionale che ha ripreso in cielo in terra, in ogni luogo e in tutti i laghi e ha intervistato la sottoscritta, Annie e Bruna per un filmato che forse andrà in onda. Ora come ora sto cercando di contattare la Tomponzi Investigazioni per cercare di trovare qualche scheletro nell'armadio, qualche segreto importante con cui ricattare l'operatore perché non venga mandato in onda il filmato. Col culo che ho, non avrà precedenti, sarà un cittadino modello, un padre esemplare e a capo pure di missioni umanitarie, per cui temo che il video possa essere divulgato.
L'evento comunque è riuscito bene, talmente bene, che qualcuno ha perfino azzardato un “Sembra un film!” e una signora, presentatasi al cancello del giardino, è rimasta allibita e immobile.
“Signora, ma...cerca qualcuno?”
“Sì, ma mi sa che ho sbagliato. Scusi scusi non voglio disturbare, vedo che c'è un matrimonio in corso!”
Un matrimonio. Facciamo un evento in giardino e da quanto ci riesce bene lo scambiano per un matrimonio. Nella prossima vita voglio fare la wedding planner.
Prima delle foto chiuderei con i ringraziamenti.
Ringrazio tutti quelli che hanno partecipato e che si sono prestati a questa folle anche se bellissima idea.
Ringrazio chi mi ha portato i regali, che ho accolto con sincero stupore e chi mi ha donato i fiori. Bellissimi tutti e in particolare un grazie a Vanna che addirittura, per me, solo per me, si è fatta arrivare le rose Austin direttamente dall'Inghilterra e me l'ha confezionate con una cura e una maestria certosina, perché anche la ricerca della stoffa ha avuto un suo perché.
Ringrazio chi mi ha lasciato la sua mail per far sì che io mandi tutto sto pappiè.
Ringrazio la mia amica Samantha che non solo si è lasciata travolgere da questa cosa, ma è stata parte attiva anche nella preparazione dell'evento fornendomi materiale e chicche culinarie: ha fatto dei cup cakes con la silhouette di Jane Austen. C'ha perso un giorno, la pazienza e mazzi di neuroni ma son venuti 'na favola!
Ringrazio: Sarah per la lettura in inglese di un brano tratto da Orgoglio e Pregiudizio, Vanna per averci trasmesso la sua passione per la musica e ricordato che anche Jane la amava, Silvia per averci reso partecipi dell'affascinante mondo dei cavalli e dell'abbigliamento di quel tempo in questo campo, Laura per aver riassunto anche con spunti personali la vita di Jane Austen, Naibì per averci illustrato gli abiti d'epoca, i tessuti e la moda, e infine Leila per averci presentato la Fondazione Cerratelli. E qui ringrazio di cuore Diego Fiorini che ci ha permesso di esporre per l'occasione due cappelli di scena usati per La Bohème di Puccini con la regia di Franco Zeffirelli del 1983 e per Il signor Bruschino di Rossini del 1978. Vi consiglio un giro sul sito per apprezzare questa grande sartoria che ha collaborato per la realizzazione di costumi che hanno contribuito a rendere famose moltissime opere e che hanno solcato teatri come il Metropolitan di New York, il Royal Opera House Covent Graden di Londra, senza dimenticare i più famosi teatri italiani.
Infine un ringraziamento alle preziose Annie e Bruna, che con divertimento, passione, grazia e dedizione organizzano splendidi Tea Party per il solo piacere di divulgare e promuovere la cultura inglese, ma non solo. Si tratta proprio del piacere di condividere esperienze, foto, arte e dello splendido tè con chi apprezza lo stile english. Il tutto condito con simpatia, disponibilità e cordialità molto british!





 







 



























Ah, poi un po' del libro si è parlato. 
Mi hanno incastrato.



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