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Sono
al parco, mia figlia è piccola e come suo solito non corre, non
starnazza come dovrebbe fare alla sua età, ma se ne sta a questo
tavolo di legno a fare un piccolo puzzle portato da casa.
Accanto
a noi ci sono le solite mamme con le solite bambine, alcune delle
quali cercano di coinvolgerla in altri giochi, ma lei probabilmente
aspetta quella un po' timida come lei, quella che viene sempre dopo
che sua madre ha ritirato i gemelli dall'asilo. Infatti eccola:
cammina piano oggi, e si porta dietro a fatica lo zaino della scuola.
Io e sua madre ci salutiamo con una certa confidenza, ormai sono
giorni, mesi, che parliamo del più e del meno e ci scambiamo pure
qualche consiglio. Si mettono al nostro tavolo mentre, poco più in
là, si accomodano altre mamme, altri bambini. Sua figlia oggi è
particolarmente silenziosa e nasconde il viso sotto i suoi lunghi
capelli biondi. Penso che sia solo stanca ma solo quando un refolo di
vento le scopre la fronte, scorgo un fregio sulla tempia che le
prende parte dell'occhio. Una macchia scura come un ombretto sbafato.
“Oh
povera! Che hai fatto?” Mi scappa a voce alta. Troppo alta. Qualche
mamma si gira, per poi tornare a guardare il cellulare o il proprio
figlio sullo scivolo.
Lei
prima guarda la madre con sottomissione poi mormora “Sono caduta
dalle scale.”
Sua
madre la fissa e annuisce appena, come per dirle “Brava.”
“Be',
capita. Anche io sono caduta una volta dalle scale. Caviglia rotta,
quindi alla fine sei stata più brava tu a cavartela con quel
graffietto.” Cerco di fare dell'ironia, ma la faccia seria della
bimba mi blocca da formulare qualsiasi altra battuta. La madre, dal
canto suo, sembra lievemente in imbarazzo, e non so cosa deve aver
visto nei miei occhi, forse un'immensa incredulità perché dopo
alcuni istanti si sporge sul tavolo e mi confida: “In realtà l'ho
picchiata. Sono uscita fuori di testa. Quei due mi fanno impazzire e
alla fine ci rimette lei. Le ho dato un manrovescio e l'ho presa in
pieno con un anello. Mi sono sentita morire. E ho pianto con lei.
Guarda come l'ho ridotta, da rovinarle il viso.”
La
bimba è ammutolita e per poco non si accartoccia su se stessa.
“È
meglio dire a tutti che sei caduta dalle scale, vero amore?” Le
sussurra dolcemente accarezzandole la testa.
La
bimba annuisce sommessamente e le rivolge un timido sorriso.
Io
sono impietrita.
Non
tanto per il gesto della madre, che per quanto orrendo e non
condivisibile, mi lascia solo l'amarezza addosso.
Ma
per il comportamento della bambina che, davanti a una violenza
simile, trova – come è giusto che sia alla sua età – normale
mentire. Mi viene da pensare che ubbidisce alla madre come ubbidirà
in futuro a un marito, un compagno, un uomo al quale vuole bene,
qualora usasse su di lei una violenza inaudita, una violenza
scaturita dal nulla.
Quel
'sono caduta dalle scale' detto a 7 anni in un parco durante un
pomeriggio di primavera è solo la punta dell'iceberg di una vita
fatta di sottomissione e fragilità. Magari troverà normale, da
adulta, mentire su violenze e su abusi subiti, per accondiscendere
gli altri e tutelare se stessa, perché l'ha sempre fatto, perché è
giusto fare così, perché le hanno insegnato quello.
Dopo
quel pomeriggio non le ho più riviste se non sporadicamente per un
saluto veloce e la bambina ha ripreso a sorridere come una volta.
La
madre invece, dopo quel giorno, bensì non avessi dato voce a nessun
giudizio sulla faccenda, cerca di evitarmi e mi saluta a mezza bocca.
Forse
non si rende conto che il fatto che abbia detto a me la verità è
meno grave, meno vergognoso, di aver obbligato la sua bambina a dirmi
e a dirsi una bugia.
Una
bugia che spero, nel suo futuro di donna, non debba mai essere
costretta a ripetere.
questa bugia traccia un confine, anzi scava un abisso nella mente di un bambino come in quella del genitore, che lo convince a dirla, perchè le sembra più giusto dire una bugia piccola piccola su un evento del genere, piuttosto che dire la verità, per quanto male faccia...perchè quel genitore è stato un bambino che forse quelle bugie le ha vissute sulla sua pelle e le semina di nuovo, invece di estirparle come erbacce. La differenza nella vita di un bambino è quella di sapere o non sapere estirpare erbacce. E vale una vita intera.
RispondiEliminagrazie Fabi, bella riflessione.
EliminaHo i brividi. Tanti genitori non si rendono conto che con i loro gesti (anche ben più piccoli di questo) avranno un'influenza enorme sullo sviluppo del carattere dei loro figli, perché pensano che "tanto son troppo piccoli per capire". In realtà i bambini sono come spugne e volenti o nolenti si portano addosso il bagaglio dei genitori. In più, questo è un caso che io considero davvero grave per più di una cosa. Faccio un grosso in bocca al lupo alla bimba, spero che in lei si sviluppi una personalità davvero grande per distaccarsi il prima possibile dal meccanismo che hai evidenziato.
RispondiEliminaPs: bel post Simona!:)
Grazie Silvia, anche tu hai detto delle cose sacrosante.
EliminaCiao Simo...,è un prologo? ... il tuo prossimo libro parlerà di questo argomento?
RispondiEliminaun abbraccio
A, Ct
No, Angie, il mio prossimo libro parlerà d'altro ;-)
Eliminaciao simo.. ti seguo parecchio tempo fa e tu seguivi me.. poi mi sono tolta da blogger e ora sono tornata.. quello che ho letto mi ha impietrita.. anche a me capita qualche scapaccione ahime.. ma da mamma che sa di sbagliare in quel momento chiedo subito scusa piangendo e spiego per quanto sia possibile perchè ho sbagliato a comportarmi così
RispondiEliminaI bambini mentono. Perché glielo insegnano gli adulti.
RispondiEliminaI bambini rubano. Perché glielo insegnano gli adulti.
I bambini picchiano.perché li vedono fare agli adulti.
I bambini sparano. Perché glielo insegnano gli adulti.
Non sarebbe meglio insegnare loro la verità, l'onestà, la bontà e il rispetto per la vita. Propria e altrui?
I bambini.....diventano adulti!