lunedì 17 ottobre 2016

Viaggio in USA: quella volta a casa di Stephen King.




Sì, vabbè, detta così sembra che Stephen mi abbia ricevuto a casa sua, mi abbia pure fatto leggere le bozze del suo prossimo romanzo dicendomi "Se c'è qualcosa che non ti piace dimmelo che lo cambio, eh? Ci tengo al tuo parere!" e mi abbia pure offerto un bicchierino di brandy.
Ma de che.
Però questa è casa sua.
E il cancello era aperto. Spalancato.
E volevo entrare.
Poi mi hanno detto che con la polizia americana non si scherza e allora sono rimasta fuori a contemplare questa bella casa rossa dove il Re del brivido produce i romanzi che tutti noi conosciamo. 
Potrei fare la fan accanita e dire che  Bangor (cittadina del Maine dove alloggiavamo) l'abbiamo scelta perché è lì che abita King, ma voglio essere sincera: è stato un caso. E forse per questo ancora più bello. Ho letto tre dei suoi libri e uno di questi è nella mia top ten di romanzi preferiti: Il miglio verde. Tuttavia non posso dire di essere una vera fan: alcuni lavori l'ho apprezzati, ad altri proprio non mi ci sono mai avvicinata. Detto questo, ragazzi, è di Stephen King che stiamo parlando, mica micio micio bau bau. Quindi, una sera in cui cercavo informazioni sulla cittadina in cui alloggiavamo, mi spunta 'sta curiosità: eravamo a un km di distanza dalla casa de Re. E che non ci vuoi andare? Metti che lo incrocio mentre va a passeggiare con il cane. Metti che lo vedo mentre annaffia le aiuole. Metti che si affaccia al balcone e mi saluta con la manina a sogliola come la Regina Elisabetta. Invece no, manco l'ho visto. Ma era in casa, lo so. E magari ha visto una pazza che scattava foto alla rinfusa. Sono stata tentata davvero di entrare nel cortile, al limite mi avrebbero fermata i domestici, il giardiniere o un rottweiler, ma poi cosa avrei fatto? Bussato alla porta? Mi sono molto sorpresa del fatto che fosse tutto a portata di mano, tutto aperto, tutto accessibile. Mi hanno detto che molto spesso lo incrociano pure i vicini a prendere il pane, a passeggio o in giardino, e che si intrattiene a parlare come se niente fosse. Ecco, quel giorno evidentemente era a prendere il caffè perché io non l'ho visto.
Mentre stavo scattando queste foto si ferma pure una macchina e mi fa cenno di avvicinarmi. Un omino coi capelli bianchi mi dice qualcosa in inglese e temo che voglia vendermi una batteria di pentole, invece mi dice che questa è la casa di King (ma va'? Ma davvero? Pensa che la stavo fotografando così, per hobby) ma pure quella accanto è sua. Un'altra villa, questa volta bianca. Insomma, pare che le vendite dei libri, in questi anni gli siano andate bene! A parte gli scherzi, è stata una bella emozione e la casa lo rispecchia molto (basta guardare il cancello in perfetto stile horror/gotico che sotto Halloween è pure  la morte sua), senza considerare che ho assaporato, guardato, toccato e sentito tutto ciò che ha ispirato il gran maestro della paura: il suo Maine, i luoghi che lo hanno ispirato e il paese che lui ama più di ogni altra cosa, tanto da ritrovarlo in quasi tutti i suoi romanzi.




Chiusa parentesi King, i giorni che ci rimangono nel Maine, li passiamo con quello che il Maine ci offre: ovvero laghi, coste e negozi tipici. 



Come ho detto nel primo post, il Maine affascina proprio per questo: natura natura natura.



Dalla mappa, dall'intuito, dal fato e dal destino, un giorno ci lasciamo guidare verso un paesino: Greenville.
Quando arriviamo pare una landa desolata anche se la guida la definisce una ridente cittadina. Ecco, nel Maine questo concetto è un po' astratto. Per loro un pub, un negozio e un laghetto in duecento metri quadri, è una ridente cittadina. Non ci scoraggiamo e decidiamo di visitarla. A farci compagnia, in questa breve sosta, orsi intagliati e una marcatissima aria montana fatta di legname e baite. Come ho già detto nel post precedente, la vicinanza con il Canada si sente fortissimo e Greenville ne è la prova. 




Qui visitiamo uno dei negozi più belli di tutto il nostro viaggio americano: l'Indian Store.
Quello che all'esterno si presenta come un rigattiere, all'interno incanta per la sua atmosfera che richiama moltissimo i pellerossa e tutto ciò che gira intorno a quell'epoca. Anche qui la fanno da padrone i vari suppellettili tipici di questa zona e il legno, ancora una volta, è il protagonista indiscusso.




Il nostro giro giornaliero si conclude con una visione d'insieme del Moose Lake, dove siamo stati sorpresi da un acquazzone che ha testato la nostra preparazione atletica nella disciplina 'rifugiati in macchina prima del diluvio universale'.




 Nel Maine, oltre le aragoste, sono famosi anche i fari. Decidiamo di visitarne due: l'Owls Head Lighthouse e il Portland Head Light a Cape Elizabeth.
Il primo è un piccolo faro bianco del 1825 e intorno a lui aleggiano  storie e leggende che sicuramente aggiungono fascino al luogo (se mai ce ne fosse bisogno). Sorprendentemente è un faro non molto alto ma è situato alla base di un promontorio e ci si accede tramite una breve passeggiata nel bosco.

 
 Il faro è visitabile all'interno e si può salire tramite una piccola scaletta. La permanenza, per questioni di spazio e sicurezza,  è di dieci minuti e per due/tre persone alla volta. Da lì, la vista è mozzafiato: il faro troneggia fiero sul mare punteggiato, su questo tratto di costa, da innumerevoli boe che segnalano la pesca all'aragosta.



 Il faro di Portland, il più antico del Maine e commissionato da George Washington nel 1791, invece sembra appena uscito da un villaggio Lego.



A corredare il faro, la casa del custode dal tetto rosso e un piccolo museo, che però non abbiamo visitato.  Decisamente più affollato ma non per questo meno accattivante si trova in un punto molto panoramico e suggestivo.






Noi ci siamo arrivati nel pomeriggio inoltrato ma sarebbe stato splendido verso il tramonto e magari fotografato da un' altra prospettiva come dimostra questa foto di Kaptain Kimo.

Il giorno dopo dicevamo addio al Maine, il nostro soggiorno stava per terminare. Prima di recarci nel Massachusetts dove ci aspettava una casa da sogno (ve ne parlerò nel prossimo post)  ci siamo concessi una sosta a Crescent Beach, una spiaggia molto ampia dalla sabbia finissima.
Qui abbiamo dovuto pagare per accedervi e il prezzo è piuttosto alto (sui 25 dollari) dato che si trova all'interno di un parco. Devo dire che il posto è tenuto divinamente, con un ampio parcheggio e spiaggia pulitissima dove ci siamo goduti una giornata di relax prima di dire definitivamente addio al Maine.





 Nel prossimo post il Massachusetts, uno stato che ci ha fatto vivere delle esperienze indimenticabili!

(to be continued)



3 commenti:

  1. Invidio sempre di più questo tuo viaggio americano! Se potessi scegliere, è il viaggio che in assoluto mi attira di più, girando in camper, in autobus, o in auto, guardando tutto, ma proprio tutto. Insomma, non so se basterebbero sei mesi. Mi accontento di aver visto bene New York. Se ringiovanisco di trent'anni però, lo faccio pure io!
    PS - Grazie di questi reportages, uno meglio dell'altro!

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  2. che meraviglia di foto...
    http://www.gruppocmservizi.it

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Nel frattempo, visto il periodo, vuoi una tazza di thè?

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