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Sono in pieno trip per la stesura del quarto romanzo. In questi ultimi tempi è successa una cosa alquanto bizzarra ma molto bella, tipo che stavo lavorando a un progetto, ma poi se n'è presentato un altro più urgente e allora metti da parte quello e fai quest'altro con la conseguenza che ho in cantiere paginate e paginate di roba per due storie in cui credo molto e in bozze altre due idee e trame per altri due romanzi che vorrei scrivere nei prossimi mesi. Della serie: scrivile du' cose Simo.
Si sa, a me piace scrivere
e quindi non faccio nemmeno fatica. Vi dirò di più: sotto pressione
lavoro anche meglio. Infatti a me cosa m'ammazza è la fase di
stallo, in tutte le cose della vita, sia ben inteso. Quella fase in
cui non c'è niente di definito, dove non ti senti né carne né
pesce, dove non si muove foglia, dove tutto è sinonimo di
tranquillità. Ecco, per me non è tranquillità, è calma piatta. Ed
è una cosa che mi annienta. Io per stare bene, a livello lavorativo
(non solo di scrittura) devo macinare, fare, disfare, progettare e
avere qualcosa a cui dedicare anima e core. E Dio solo sa se ora sta
fase ce l'ho.
Non mi soffermo troppo
spesso sul perché io senta la necessità di scrivere, ognuno lo fa
per svariati motivi. Io ho iniziato da piccola e non ho più smesso.
Dicono che, soprattutto da piccoli, chi scrive e inventa storie
fantastiche probabilmente vuole ricreare un ambiente migliore di
quello in cui vive. Sì, lo so, psicologia spicciola. Bho, io
onestamente non lo so. So solo che scrivere mi fa stare bene, è come
se vivessi un'altra vita. È come se io fossi lì, al posto della
protagonista e patisco con lei, gioisco con lei, mi innamoro di nuovo
con lei. Perché, anche se di primo acchito non do questa
impressione, io sono molto romantica. Non quel romanticismo mieloso e
da diabete, almeno non credo di scrivere un romanticismo mieloso e da
diabete. Oddio, mi viene il dubbio. Se così fosse vi autorizzo a
prendermi a mazzate! I miei romanzi sono sì romantici ma conditi con
una dose massiccia di ironia. Le due cose vanno di pari passo, una
accanto all'altra. Forse non sarei capace di scrivere solo con l'una
o solo con l'altra. Diciamo che in me vivono due Simona: una
pragmatica, a volte cinica, ironica e altamente cazzona. L'altra
romantica, che piange come una vite tagliata su qualsiasi scena che
passa la tv basta che in sottofondo ci sia una melodia
strappalacrime, che adora le commedie romantiche e che si aspetta
qualche galanteria da parte del genere maschile. Infatti i miei
protagonisti maschili sono di rilievo quasi quanto la protagonista. E
io li amo, tutti. Gli faccio fare e dire cose che io adoro, li
idealizzo, li plasmo a immagine somiglianza del mio uomo
ideale. Perché non è detto che alle altre piaccia. Gioco più sulla
personalità e il carattere, piuttosto che sull'aspetto fisico. Ovvio
che non sono mai il sosia di Brunetta (con tutto il rispetto per il
sosia), anche perché l'aspetto fisico per me è fondamentale per il
primo approccio, però diciamo che descrizioni tipo “Aveva gli
occhi così azzurri da sembrare due laghi di montagna in cui mi ci
perderei da qui all'eternità,” non le trovate. Le mie descrizioni
sono un po' più carnali, fisiche e schiette.
Però.
Però non c'è solo
l'aspetto fisico. E no, e qui casca l'asino. Perché anche se non si
direbbe, la Simo si aspetta dal genere maschile un certo tipo di
comportamento. Bensì mi reputi una donna emancipata, moderna, di larghe vedute e a tratti anche un po' maschiaccio, subisco il fascino
dell'uomo che mi cede il passo davanti a una porta, o me la apre per
farmi entrare. Di quello che con naturalezza mi paga il caffè e mi
ferma con un gesto della mano, di quello che ti viene a prendere
sotto casa con la sua auto (perché non mi piace che guidi la donna
se ha un uomo a fianco -lo so, è una fissazione antica la mia, me ne
rendo conto, ma non posso negarlo, sono vecchia raga'-), quello che
aspetta che tu entri nel portone al sicuro prima di andarsene,
quello che a tavola ti versa da bere o almeno fa il gesto prima di
servirsi e tracannare un fiasco e via dicendo. Lo so, conoscendomi
forse non lo avreste detto, invece ci faccio caso. Piccoli gesti non
eclatanti che a me piacciono. Ovvio che non mi aspetto che un uomo mi
apra la portiera o mi faccia il baciamano (in questi casi
probabilmente mi metterei a ridere ora e smetterei tra due
settimane), ma diciamo che la galanteria di base mi aggrada. Poi
magari sono la prima a insistere per pagare il caffè o ti dico “Vai
pure,” quando mi lasci davanti al portone, ma il fatto che io
faccia la mia mossa non vuol dire che lo voglia davvero, sono frasi
carine, di circostanza, che si dicono perché dobbiamo dirle, appunto
perché dobbiamo apparire donne emancipate. Metti che dico a uno “Vai
pure, tranquillo,” anche se mi lascia in un luogo malfamato e
quello mi risponde “Ah, okay!” e parte sgommando. Cioè, è un
uomo morto.
O quello che non fa
nemmeno il gesto di pagarti, un caffè, un tramezzino, un monchery e
lascia che tu lo faccia per lui. Va bene la parità, però insomma,
un po' di galanteria non guasta.
O è educazione?
Già, educazione o
galanteria?
Minchia, mi sa che ho
fatto casino.
(questo post è stato
scritto di getto, a braccio, in poche parole: in modalità minchia
passando da un discorso a un altro come se vi avessi davanti e
facessimo una conversazione. Dalla regia invece mi dicono che è un
blog e in quanto tale dovrei curare un pelino la sintassi. Ma avevo
bisogno di una pausa per non sclerare e questo è il risultato.
Inoltre l'autrice si scusa per le amenità citate. Saranno raccolte
nel nuovo volume dal titolo “Le ovvie banalità della Simo”)
No, ma mi riprendo.
Tranquilli, mi riprendo.
Bella de zia!!
RispondiEliminaun abbraccio e.... dì pure tutto quello che ti passa x la testa!! io sto qui ad ascoltarti..
abbraccio forte
A, Ct
Mi piace: "con tutto il rispetto per il sosia di Brunetta"... e per il vero Brunetta no? Ahahah!!!
RispondiEliminaIo lo trovo fantastico, 'sto pezzo...
RispondiEliminatroppo forte cara a presto
RispondiEliminaMa no, non riprenderti, va bene anche così :)
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