lunedì 30 gennaio 2017
Il mio quinto romanzo in uscita a febbraio!
venerdì 27 gennaio 2017
Che ne sanno
Laura è una donna piacente. Non giovanissima ma la cura che ha di sé, le cancella qualche anno. Ha sempre i capelli a posto, ma poco trucco, anzi quasi niente. Lascia scoperte le piccole rughe e qualche imperfezione.
Laura è alta e ha un viso comune, ma è il suo corpo che attira l'attenzione: è tonico, forse merito della ginnastica fatta anni prima. Ed è lì che lei gioca. Ha il viso di una cinquantenne con il corpo di una trentenne.
Che ne sanno loro di come si lotta.
mercoledì 11 gennaio 2017
State lontani
State lontani da chi vi affossa, da chi, davanti a un vostro sogno o progetto, scuote la testa con un "Ma lascia perdere!" o "Non ne vale la pena." Se ci credete veramente, ne vale sempre la pena. E voi siete lì per dimostrarlo.
State lontani da chi gode dei vostri insuccessi. Non vi avvilite però, godrebbero ancora di più.
Trasformate la vostra rabbia in qualcosa di costruttivo, di più forte e riprovateci. Non è facile, ci vuole allenamento, ma alla fine ci si riesce. Garantito.
State lontani dai pessimisti, da chi vede sempre tutto nero, chi non riesce a scorgere niente di positivo in questa vita. Se non vi allontanate, piano piano vi trascineranno nel buio con loro. State lontani non solo da chi vede il bicchiere mezzo vuoto ma da quelli che non vedono manco il bicchiere.
State lontani da chi tira fuori il peggio di voi. Sono persone negative, che vi intossicano piano piano come un veleno insapore e inodore, trasformandovi senza neanche rendervene conto in persone sgradevoli.
State lontani da chi non sa ridere. Da chi non capisce l'ironia, da chi non capisce le battute o meglio: da chi le capisce ma non ride per non darvi soddisfazione. Quelli in effetti sono i peggiori.
State lontani da chi vi critica, sempre e comunque. Da chi vi fa sentire un inetto, insignificante. Nel mondo ci sarà sempre qualcuno migliore di voi, questo è certo, ma non per questo dovete sentirvi inferiori.
State (ancora più) lontani da chi vi ha lasciato andare. Non affannatevi, non rincorrete chi non vi vuole. Concentratevi piuttosto da chi fa di tutto pur di incontravi, anche solo per un caffè al volo.
State lontani da chi, non sapendo dove colpirvi, lo fa su un difetto fisico. O meglio: su quello che loro pensano sia un vostro difetto fisico. Magari voi, nel tempo, ne avete fatto un punto di forza.
State lontani da chi non vi capisce, da chi vi fraintende sempre, da chi non viaggia sulla vostra lunghezza d'onda. La vita è troppo breve per spiegare alcuni concetti a chi non è predisposto all'ascolto.
State lontani da chi non ha empatia, carità cristiana, da chi è severo con se stesso e con gli altri. Da chi, prima di agire, pensa sempre a un tornaconto. Da chi non dà, ma pretende. Da chi critica ma non muove un dito.
State lontani da chi polemizza su tutto. Dai bastian contrari. Da chi sale in cattedra e sentenzia senza conoscere. Da chi non sa motivare una scelta, da chi non sa argomentare una decisione presa, da chi crede a qualsiasi cosa gli venga detta o messa sotto gli occhi, da chi non si informa, da chi segue la massa a occhi chiusi, da chi è sprovvisto di spina dorsale.
State lontani dagli invidiosi. Dagli arroganti. Dai presuntuosi. Da subito.
Invece:
Circondatevi di persone che, davanti a un vostro sogno o progetto, vi incitano con un "Provaci! Io sono con te." o "Non so se sia una buona idea, ma ti appoggio. Sono qui."
Circondatevi di persone che esultano per un vostro successo, di persone che vi stanno vicine e sono realmente felici per ciò che di bello vi accade. Perché è facile stare vicino a una persona in un momento critico ma è ancora più difficile farlo con bontà quando questa raggiunge il successo o un sogno.
Circondatevi di ottimisti, di chi riesce a vedere uno spiraglio di luce nel buio più totale. Circondatevi di speranzosi, di persone che sanno ridere nonostante tutto, che sanno cogliere il bello della vita, che hanno fatto della gratitudine quasi uno stile di vita.
Circondatevi di persone che vi fanno stare bene, che vi fanno dimenticare anche solo per un'ora tutti i casini che avete. Circondatevi di chi tira fuori il meglio di voi stessi, di persone che vi fanno spostare i paletti che vi siete imposti, facendovi diventare persone migliori. E tenetele strette queste belle anime.
Circondatevi di persone che hanno fatto del loro sorriso l'arma con cui abbattere tutti i mali del mondo.
Circondatevi di persone che vi fanno sentire importante. Di persone che vogliono ascoltare il vostro parere, la vostra voce, cosa avete da dire a proposito di alcune questioni. Circondatevi di persone positive.
Circondatevi di chi vi tiene stretto, non solo in un abbraccio, ma nella sua vita.
Circondatevi di persone che vi dicano "Sei bellissima," anche quando l'umore è sottoterra e l'aspetto pure. Di chi riesce a farvi un complimento per tirarvi su, chi contribuisce con mattoncino su mattoncino, a costruire la vostra autostima.
Circondatevi di persone che vi capiscono al volo, di quelle che 'basta uno sguardo', di persone che viaggiano sul vostro stesso binario. Sarà un viaggio indimenticabile.
Circondatevi di persone sensibili, che si commuovono, che non provano vergogna a piangere in pubblico. Circondatevi di chi allunga una mano verso gli altri, di chi fa volontariato. Di persone che danno tanto senza pretendere nulla. Di chi è generoso. Di chi ama, ma col cuore.
Circondatevi di gioia e di calore. E non abbiate la paura di tagliare ponti, rapporti, amicizia o allontanare ciò che vi fa soffrire. È solo il primo passo per stare bene, con noi stessi e con gli altri per far sì di godere al meglio questa grande giostra che chiamano vita.
(foto da: psicoadvisor.com)
lunedì 9 gennaio 2017
Ricetta: crumble di mele.
Quindi non sia mai che non vi accontenti, belli de zia.
Tutto è cominciato ieri sera, quando mi è venuta voglia di fare un dolcetto e aprendo il frigo... la desolazione.
Uova scadute.
Allora vado in dispensa: poca farina.
Be', magari faccio qualcosa con le mele, mi dico. Emh... nella fruttiera ce n'erano solo 2.
Dopo l'iniziale desolazione e il successivo sgomento, decido che un dolce, con quello che ho, lo devo tirar fuori ed ecco che provo per la prima volta in vita mia il crumble alle mele.
Ve lo dico: è una droga. È velocissimo, facilissimo, ci vogliono pochi ingredienti e finirà in un secondo.
Non ci credete? Fidatevi.
Questa la mia ricetta e le mie misure per la tortiera (visto gli scarsi ingredienti)
Ingredienti:
* 2 mele
* succo di limone
* 150 g di zucchero semolato
* 170 g di farina 00
* 100 g di burro
Tortiera a cerniera di 17 cm di diametro.
Procedimento:
per prima cosa sbucciate e tagliate a fettine le mele. Irroratele con del succo di limone e con 50 g di zucchero (dei 150 sopra).
Poi, in una ciotola, mescolate e lavorate la farina, il burro a pezzettini e il restante zucchero.
Lavoratelo con le mani fino ad avere un impasto 'bricioloso'.
Imburrate la tortiera, adagiatevi le mele, e mettete il composto sopra il tutto, a ricoprire.
Infornate a 200° per... non lo so. Io sono andata a occhio. Tenete presente che sopra deve essere ben dorato, come nella mia foto per intenderci.
Il crumble, dopo questi semplici passaggi, è pronto per essere divorato. Il fondo di questo dolcetto sarà caramellato, le mele morbide e profumate e il sopra croccante come una frolla asciutta. In poche parole: una bontà!
Purtroppo, proprio perché non era previsto un post, non ho altre foto se non la prima dove già avevo dato una cucchiaiata d'assaggio, ma è talmente semplice che vi basterà questa ricettina. Se comunque avete dei dubbi, io sono qua.
Provatelo e fatemi sapere!
P.S. Essendo un dolce alle mele di origine inglese, ci starebbe bene anche la cannella. Io non l'ho messa perché a noi non piace particolarmente. Infatti non ci sono foto perché ne è rimasto solo una cucchiaiata (che ve lo dico a fare.)
Buona merenda!
domenica 8 gennaio 2017
I sogni son desideri
Bene. Oggi, 8 Gennaio 2017, mi sono resa conto con molta gioia che alcuni sogni li ho realizzati.
Per altri invece ci devo ancora lavorare. Alcuni, quel giorno, mi sembravano impossibili da concretizzare e invece...
La mia lista:
- Fare un viaggio in mongolfiera
- Tirare al poligono
- Vedere girare un film
- Fare un bagno con i delfini
- Imparare a suonare la chitarra
- Andare a New York *
- Fare rafting
- Imparare i balli western *
- Mangiare la vera torta Sacher in Austria
- Fare un giro in elicottero
- Imparare a suonare l'armonica
- Visitare la Casa Bianca *
- Fare un safari in Africa
- Visitare il Montana e l'Oregon
- Fare un corso di fotografia
- Fare una crociera nei mari del nord
- Assistere al foliage in Canada
- Tirare con l'arco
-Vedere le cascate del Niagara *
- Andare al Polo Nord
- Avere accesso a Buckingham Palace
- Assistere alla notte degli Oscar
- Andare a cavallo
- Vedere le balene *
- Partecipare a un rodeo in Texas
- ...
La lista, per un'informazione, una curva o una sosta, non fu terminata, altrimenti temo che non mi sarebbero bastati 200 fogli ma sono contenta che almeno alcuni di questi sono riuscita a realizzarli.
Mi rendo conto che alcuni sono quasi impossibili, altri molto ma molto più accessibili, anche se a dire il vero tra quelli impossibili avevo messo 'visitare la Casa Bianca' e detto tra noi anche se non l'ho realmente visitata ci sono andata molto vicino. Tre passi in più e il cecchino sul tetto mi avrebbe impallinato quindi mi son fatta bastare la facciata, il colonnato, il giardino e un saluto a Obama col braccio alzato che se metti caso in quel momento era affacciato alla finestra t'ho fatto anche una bella figura di merda.
Detto questo, a oggi, avrei altrettanti punti da scrivere tipo invitare a cena Patrick Dempsey, imparare a fare l'uncinetto, imparare a ballare la salsa, samba e il merengue come la Titova, fare un corso di inglese, uno di informatica, imparare a correre su un tacco 12 senza sembrare un T-Rex, e leggere, senza posarlo dopo tre pagine, Anna Karenina.
Voi avete mai fatto una lista? È realizzabile? Vi siete prefissati dei progetti e/o dei sogni e siete riusciti a portarli a termine o realizzarli?
Infine: avete qualche sogno in comune con me?
lunedì 19 dicembre 2016
Il Manicomio di Volterra - Quello che ci ha lasciato -
Lo Charcot, tra i vari padiglioni, era quello che veniva considerato di pre-inserimento. Qui si cercava un recupero degli ospiti per poter restituire loro un ritorno a casa o alla vita 'normale'. All'interno del manicomio infatti erano presenti una falegnameria, una panificio, una lavanderia e altre piccole botteghe volute fortemente dall'allora direttore Luigi Scabia, per sviluppare il concetto di piccolo villaggio dove l'ospite potesse sentirsi non recluso ma libero di muoversi e/o lavorare.
Questo quadretto un po' rassicurante dove immaginiamo i pazienti affaccendati nelle varie mansioni, fa a cazzotti con quello che vediamo. O intuiamo.
Come ad esempio gli interruttori della luce posti a due metri di altezza per evitare che venissero accesi e spenti di continuo da chi si strusciava intorno al perimetro delle stanze per ore.
Come ad esempio le grandi finestre dalle quali passa, tutt'ora, una luce forte, violenta, che inonda gli ambienti. Illumina, come fossero i protagonisti, i muri graffiati, disegnati o consumati da quel percorso perpetuo fatto di spalle, tempie e capelli
Finestre grandi che suggeriscono aria, luce, apertura, ma interamente sprangate, chiuse e inaccessibili per ricordarci la libertà negata.
Il nostro percorso prosegue verso il padiglione Ferri, quello giudiziario. Abbiamo avuto accesso all'interno tramite il giardino dove, col bel tempo, i pazienti venivano lasciati liberi di circolare, giocare a bocce, passeggiare. Quando invece il tempo era ostile, per 'tenerli buoni', venivano esortati a farsi un giro intorno a un tavolo. A giornate. Dieci, cento, mille giri intorno a un tavolo rettangolare in uno stanzone, uno dietro l'altro. Il movimento continuo, sempre uguale, li teneva impegnati e calmi, dicono.
Ma il padiglione Ferri è anche quello più famoso perché custodisce l'opera di Oreste Fernando Nannetti (NOF).
Nannetti, dopo un inizio di vita che oggi verrebbe descritto solo un po' travagliato, fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico romano e poi trasferito a Volterra, solo per aver mandato a quel paese un carabiniere. Quello che emergerà, proprio da questo viaggio di anime, è che a quei tempi venivano rinchiusi in manicomio persone non solo affette effettivamente da patologie psichiatriche gravi, ma anche chi si dimostrava leggermente fuori dagli schemi considerati 'normali'; o chi, purtroppo, era semplicemente vittima di disturbi dell'umore, depressione o attacchi di panico. Questo bastava per farti varcare la soglia del manicomio, con tutte le conseguenze del caso. Come bastava avere un attacco epilettico o un episodio di schizofrenia. Non venivi valutato e curato per quel tipo di disturbo, venivi 'semplicemente' etichettato come matto, rinchiuso al manicomio e sedato e/o curato con metodi molto discutibili. Provate a pensare alla depressione post partum. Provate a immaginare una depressione magari data dalla povertà di quel periodo o da un grave lutto. Immaginate una persona costretta, nei giorni di pioggia, a camminare per ore intorno a un tavolo o guardare per mesi la stessa crepa nel muro circondato da chi, come lei, ha lo sguardo vacuo, triste o perso.
Quello che mi viene da pensare è che in quel periodo storico si entrava da 'sani' al manicomio e pazzi ci si diventava dopo, grazie ai metodi, all'ignoranza, e alla gestione di tutto quello che era intorno a noi.
Oreste Fernando ne è un esempio. Oreste era romano, e come la maggior parte dei romani amava la sua Roma. Quando fu trasferito all'ospedale psichiatrico di Volterra, lui la prese male. Era un affronto, un'offesa troppo grossa strapparlo dalla sua amata città. Quindi si rinchiuse in un ostinato mutismo. Smise di parlare ma aveva una mente vivida, acuta e trovò un metodo per dialogare col mondo, quello dentro, ma soprattutto quello fuori. Oreste, per 'dieci anni', sui muri dei padiglioni ha disegnato la sua vita, i suoi pensieri, le sue paure, le sue gioie, forse. Lo faceva con la fibbia del giubbino della divisa che indossava.
Ogni giorno, per dieci anni, Oreste raccontava in una sorta di quotidiano, quello che gli passava per la testa. Tuttavia nessuno riusciva a decifrare quei simboli, quelle scritte così strane, fino a che in lui non si imbatté Aldo, un infermiere che aveva fatto la scuola d'arte a Roma, guarda caso in quel breve periodo in cui l'aveva frequentata Oreste.
Aldo, andando umanamente al di là della regola 'Se facendo così sta buono, lasciamolo fare', volle capire il significato di quelle scritte e interpretarle. Oreste si trovò quindi di fronte non più un infermiere ma un uomo capace di comprendere, capire, interpretare quei simboli e i suoi messaggi. Tra i due quindi iniziò un legame che andava oltre il rapporto paziente-infermiere. Si tramutò ben presto in un'amicizia complice a tal punto che Oreste iniziò a parlare di nuovo, ma solo con lui. Aveva trovato in Aldo un amico, una persona capace di ascoltarlo e che comprendeva questa grande voglia di comunicare.
Aldo trascrisse i graffiti di Oreste (lavoro lungo e certosino perché Oreste scrisse sia sul padiglione Ferri sia sullo Charcot - 180 metri per due di altezza l'uno, e 100 metri e alto 20 cm l'altro) e quando ad Oreste gli venne riconosciuto un compenso per la trasformazione dei suoi graffiti nel libro N.O.F. 4 Il libro della vita, lui rifiutò per motivi legati alla burocrazia.
La visita dentro al Ferri prosegue con segni di devastazione ovunque. Sia edile che umana. Difficile non immaginare come venissero passate qua dentro le giornate.
Troviamo spesso sedie, panchetti, piccole panchine come se non ci fosse da fare niente, solo aspettare.
Camminiamo tra calcinacci, porte divelte, vetri rotti e squarci nel soffitto dal quale filtra un sole quasi insolente. Nonostante l'evidente devastazione e incuria, tutto è tangibile, come se queste pareti ci parlassero e trasudassero ancora sofferenza fatta di elettroshock, camicie di forza, solitudine e una dignità calpestata, fatta a pezzi. Se venivi rinchiuso qui, venivi spogliato non solo dai tuoi abiti ma anche da te stesso. Ti veniva tolta la dignità con la stessa facilità con cui ti venivano tolti i tuoi occhiali, le tue scarpe, le tue foto nel portafogli. Venivi spogliato letteralmente da qualunque cosa che facesse di te una persona. Venivi gestito come un caso, forse con un numero, un appellativo, un soprannome o semplicemente come il matto X.
Venivi lasciato girovagare senza meta e senza stimoli nei corridoi, nelle stanze intorno ai tavoli, nei viali alberati intorno a quello che sembrava a tutti gli effetti un carcere. I più mansueti giocavano a carte a modo loro, i più agitati venivano calmati con metodi a volte atroci, sotto lo sguardo impotente degli infermieri. Quest'ultimi, scoprirò alla fine, in alcuni casi sono stati realmente minati da così tanta sofferenza. Qualcuno si ribellava, qualcun'altro non eseguiva gli ordini alla lettera, qualcun'altro ancora si affezionava veramente. Infine c'è stato chi ha tramandato le storie di queste persone perché non si perdessero.
Al manicomio di Volterra si testavano anche cure sperimentali come quella fatta al padiglione Maragliano, dove venivano ricoverati i malati di TBC.
Si avvalsero della climatoterapia e il colonnato dell'edificio (rivolto verso il mare) veniva usato per collocare i pazienti in carrozzina per fargli usufruire dell'aria di mare come terapia curativa. Dopo qualche mese fu chiaro che tutto ciò non serviva a niente e fu abbandonata questa pratica.

Nel corso della giornata ci vengono inoltre raccontate altre storie, come quella di un ricoverato che, nella figlia di un infermiere, ci rivedeva il proprio figlio strappatogli e per tanti, tantissimi anni, nel giorno della Befana le regalava una calzetta di dolci.
E poi un'altra: una signora piccola, minuta, che vestiva sempre di merletti e col colletto inamidato, fatta rinchiudere in manicomio dalla famiglia perché non voleva sottostare a un matrimonio combinato. Ripeteva "Piuttosto mi faccio suora!" e fu fatta passare per pazza e costretta a vivere in quello che vedete.
Poi altre storie di famiglie che ti buttavano qui per non darti la tua fetta di eredità, perché ti eri ribellata al marito, perché magari una notte non eri rientrata a casa, perché avevi offeso un pubblico ufficiale, perché avevi tentato il suicidio, perché eri depresso, o triste, o solo.
Il problema è che qui, solo, ci rimanevi comunque.
E Andrea Trafeli che, durante la visita guidata, ci ha fatto conoscere con umanità e commozione Oreste Nannetti e i suoi messaggi al mondo.
lunedì 12 dicembre 2016
Idea Regalo: LA RICETTA IN BARATTOLO
Ho scritto la ricetta su dei cartoncini colorati e sono andata a chiudere il barattolo con del nastro colorato, una pallina di natale e uno stampo per biscotti.

lunedì 14 novembre 2016
Questo fa di me
venerdì 11 novembre 2016
L'EMBOLO CREATIVO

Io sono una creativa, vi dico anche questo. Mia madre l’ha scoperto quando avevo circa 15 anni, dopo che son tornata a casa con un lavoretto di legno fatto con le mie mani e un 10 come voto.
Avevo costruito una bara.
Avete letto bene. Una bara. Il professore quel giorno ci dette un pezzo di legno e disse “Fatemi vedere cosa sapete fare con questo”. Quella che io chiamai ‘la sfida di Geppetto’.
Mentre i miei compagni tutti fieri tiravano fuori tavoli, sedie , comò e letti per bambole, io in quattro e quattr’otto feci un esagono allungato, tagliai una piccola croce, l’attaccai sopra in rilievo e in mezz’ora la consegnai al professore. Lì per lì mi parve che si toccò un filino, ma poi scoppiò in una gran risata e mi diede un dieci per la genialità dell’esecuzione. In casa mia sta ‘genialata’ non fu apprezzata tanto. Venne prima nascosta in un cassetto e poi fatta sparire, ma come tutti gli aneddoti strani 'sta cosa è rimasta nella storia.
Quindi, cosa può succedere se io e mia madre facciamo shopping in un negozio di hobby e bricolage? Na strage. E cosa può succedere con due creative come noi? Che partiamo per comprare una cosa e torniamo a casa con un’altra.
Partiamo mercoledì mattina con l’idea di mia madre “Simo, mi devi portare a comprare la striscia adesiva come c’hai te in cucina. La voglio anch’io. Poi la mettiamo insieme, va bene?”
Dopo essere sembrate due geometri svampiti (abbiamo preso col metro da sarta le misure delle pareti e dei punti scoperti) siamo partite alla volta del grande magazzino FaiDaTe.
“Vè vè mamma, le strisce”
“La voglio con i limoni”
“Mmh… non la vedo”
“Manco io”
“Aspe' andiamo a vedere quaggiù…”
“Vai pure Simo, ora arrivo”
“Ma che palle!”
“Simo! Siamo in un negozio! E poi ti ho detto che arrivo, che motivo c’è di arrabbiarsi?!”
Effettivamente posso essere fraintesa. Ma davvero c’ho due palle in mano meravigliose. Le sventolo vicino all’orecchio ballicchiando come la ballerina di Siviglia e mia madre è subito vicino a me. “Nooooo!!Ganze!”
Erano semplicemente delle palle di plastica trasparenti che tu potevi dipingere/farci il decoupage/ farci il decoupage+dipingerle/attaccarci la stoffa… insomma ci potevi fa quello che te pare.
Lì esposto c’era un esempio e imitando Jessica Fletcher e Miss Marple ci siamo messe (con tanto di lente di ingrandimento) a spulciare ste palle per carpirne la fattura e il procedimento.
“Secondo me sipoffà”
“Anche secondo me”
“Qui io farei così, perché cosà non mi piace”
“Io invece guarda farò così perché secondo me è più d’effetto”
“Prendiamole ora che sennò non facciamo in tempo per Natale”
“Certo, controlliamo che non siano rotte però. Scusi? Commessa? Posso controllare?”
“Che cosa?”
“Che qualcuno non abbia rotto le palle” Mi correggo “Che non siano rotte, voglio dire, le posso scartare un attimo?”
Ci siamo messe a trafficare con ste palle di varie misure e la striscia adesiva era solo un ricordo. Anzi, manco quello. Poi, come guidate dallo spirito di Giovanni Muciaccia, ci siamo dirette verso i fogli decorativi per il decoupage.
“Dai mamma, guarda che belline queste tegoline!”
“Davvero. Ma tu sapevi fare il decoupage, vero?”
“Sì, insomma c’ho provato anni fa, mi riesce abbastanzina, ma sulle tegole non ho ancora provato”
Dio, come mi piace sta cosa! Sarà perché la tegola comunque richiama la casa, ma sento che sono portata per il decoupage sulla tegola. Sììììì!!!
Sono tentata di chiamare il ragazzo e farmi caricare una cinquantina di tegole manco dovessi costruirci una cascina, quando mia madre mi ferma.
“Tesorodimammatua, se non hai mai provato, che le compri a fare tutte ste tegole? Fai prima una prova, no?”
“E ‘ndo la faccio? Mi metto un bengala a mo’ di supposta e mi sparo sul tetto? Non ho una tegola, io!”
“Te no, ma babbo fuori in un angolino ha delle tegole, ne sono certa”
“Mamma, cosa ci fanno delle tegole in un angolo del tuo giardino, di grazia?”
“Non nel giardino di Grazia, nel nostro ti ho detto. E che ci fanno? Possono servire, no?”
“Eccerto! Metti che arriva la Befana ‘mbriaca, incespica un attimo e te ne fa fuori una decina”
“Io proverei con queste, poi fai te. Oh ma guarda anche le palle di polisterolooooo!!!”
Ma non voleva la striscia? A vederci sembra che ce la siamo sniffata.
Compriamo dei fogli decorativi, due pennelli nuovi (“che chissà gli altri come sono sciupati”)dei brillantini e della colla apposta. Il resto no, abbiamo tutto. Soprattutto mamma ha tutto, perché quando le parte l’embolo della creatività non ce n’è. In una settimana è capace di dipingere un quadro, cucirti un tailleur, decorarti una brocca, fare un centro all’uncinetto e ricoprirti la casa di stencil.
L’accompagno a casa e subito vado da babbino mio “Babbo, mi servono due tegole”
“Due regole? Figlia mia, mi sembra un po’ tardino. Ormai sei formata”
Niente panico. C’è la televisione talmente alta che la palazzina di fronte è sul terrazzo a vedersi il telegiornale di casa nostra.
“Babbo abbassa il televisore… bravo… mi servono due tegole”
“Ah. Due tegole. E a che ti servono? Ti piove in casa?”
“Devo dipingerle”
“Ah. Come quelle che fanno vedere in tv. Simoncina, io le tegole te le do, ma non sono proprio uguali. Quelle da dipingere son leggere e piccoline, invece queste… toh!Piglia!”
Caz-zo. Sono 56 kg l’una. Sono delle vere e proprie tegole, di casa di babbo o di nonno, chissà.
E proverò con queste! A farle con l’altre son bravi tutti. Oddio, son pese assatanate, anche un po’ volgarotte, ma io le abbellirò.
“Vuoi anche questa?”
E mi son presa pure un embrice (o tegola romana). Èun po’ malmessa, sporca, scantucciata e col muschio ma io vedo OLTRE e me la immagino diversa.
Son quattro giorni che trascuro un po’ il blog e voi, ma ecco che vi presento i miei lavori. Siete pronti? Mario, parti con le diapositive.
Prima:
Prima: due mezze-palle vuote.
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