Per questa storia bisogna partire da lontano, precisamente dal 1996, quando io e il Santo, armati d'ammore e di belle speranze, intraprendiamo un viaggio in Galles. Il modus operandi non è cambiato nel tempo, già allora prediligevamo gli spazi aperti e la natura e quindi abbiamo viaggiato attraverso le brughiere e le distese di erica con una Fiesta nera, unico puntino scuro in quella terra brulla. Ed è lì che la trovammo. Una cabina telefonica rossa. A un incrocio in mezzo al nulla. Spiccava così tanto che, nonostante il paesaggio fosse bellissimo, rubava la scena con prepotenza. Era fuori contesto e allo stesso tempo piazzata in modo strategico. Ci fermammo, sorpresi e affascinati. Per due anni è stato il nostro posto, la nostra cabina rossa. Infatti nel '98 tornammo in Galles, attraversando di nuovo quelle montagne desolate con un furgoncino da lavoro, preso in prestito dal mio babbo per provare l'ebbrezza di un viaggio ancora più spartano. Ma il furgoncino, dopo km e km, cominciò a fare un rumore strano. La cinghia ci stava lasciando. Proprio lì, sul calar della sera in mezzo alla brughiera. Ricordo il cigolio, la pioggia battente, la cabina che sembrava l'unico rifugio e il pensiero che se il furgoncino ci avesse lasciato a piedi, saremmo stati spacciati. Nessuno sarebbe passato di lì, se non qualche turista sprovveduto e avventuriero. Le risatine isteriche per stemperare l'ansia si sprecavano, addirittura scendemmo per vedere se c'era vita in quella brughiera e scorsi una lucina in lontananza, forse una fattoria. Facemmo il conto di quanto ci sarebbe voluto raggiungerla se il furgoncino ci avesse dato forfeit e capimmo che ci conveniva rimanere dentro e aspettare qualcuno di passaggio. Per fortuna il furgoncino resse e pianino pianino riuscimmo a portarlo all'alloggio e successivamente dal meccanico per cambiare la cinghia.
Questo aneddoto ormai fa parte della nostra storia e l'abbiamo raccontato spesso ad Alice la quale, sapendo che quest'anno non saremmo stati distanti, ha chiesto di vedere quella famosa cabina rossa.
La giornata era fredda, piovigginosa, come quella sera. Attraversiamo brughiere punteggiate di erica e pecore e tutto sembra immutato. E poi, dopo una curva, eccola, è sempre lì, fiera e brillante nella sua postazione. Intanto ha smesso di piovere e questo ci permette di scendere e goderci quell'angolo selvaggio. La cabina è invecchiata, tanti i segni riportati dai viandanti e lasciati dall'usura, ma conserva fierezza con prepotenza. Il sole comincia a fere capolino, il vento forte sta spazzando via le nubi. Decidiamo di pranzare proprio lì, seduti su un masso poco distante. Come in passato non c'è nessuno, se non qualche pecora che ci guarda curiosa mentre addentiamo i nostri panini. Il tempo, come a volerci regalare un bel momento, ci grazia facendo uscire un bel sole.
Alice decide di immortalare questa giornata con una foto scattata dalla sua polaroid. Anche quella sa di antico e forse è bello così.
Saliamo in macchina per proseguire il viaggio, ma guardo la mai famiglia e dico "Aspettate, voglio fare una cosa." Mi guardano strappare un foglio dal quaderno degli appunti e agguantare una penna. Scrivo un biglietto che dice più o meno così: Simona e Andrea sono stati qui per la prima volta nel 1996. Ci sono tornati 26 anni dopo con la figlia Alice... se trovi questo biglietto contattami.
Io e Aly siamo scese e lo abbiamo lasciato nella cabina. Chissà, ci siamo dette, se qualcuno passerà di qui, se si fermeranno, se lo leggeranno o se volerà via planando nella brughiera come la piuma di Forrest Gump.
Ebbene, il biglietto è stato trovato. David, Florentina e Sarah mi hanno contattato. Ho raccontato loro la storia e di quanto sia importante per noi. Si sono detti emozionati e partecipi.
Ho conosciuto, anche se solo virtualmente, tre persone gentilissime che come noi si sono fermate a quella famosa cabina rossa, ognuna con la propria storia.
Ma che storia magnifica Simona... erano secoli che non passavo da queste parti <3
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